Il 12 settembre un gruppo di sette capodogli è spiaggiato a Punta Penna, nel mare a nord del porto di Vasto, in provincia di Chieti. Quattro sono stati liberati e trascinati in acque più profonde dai soccorsi, mentre tre sono morti. Il ministero della Salute, in una nota, ha invitato, nell’ambito delle attività finalizzate alla ricostruzione della Rete nazionale spiaggiamento cetacei, gli Istituti Zooprofilattici e i servizi veterinari Regionali, in particolare della Regione Abruzzo, a prestare la massima collaborazione al gruppo di intervento che vede la partecipazione diretta delle Capitanerie di porto, dell’Unità nazionale di intervento Spiaggiamenti straordinari presso l’Università di Padova (Cert), degli Izs coordinati dall’Istituto del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta e della Facoltà di Veterinaria di Teramo
«Bisogna stare attenti, un conto sono le ipotesi, altra cosa è l’evidenza scientifica. Si è parlato di trivellazioni per l’Abruzzo sul caso dei cetacei spiaggiati a Vasto. Non si tratta di trivellazioni, ma al limite dell’attività di ricerca di petrolio e gas che può per certi versi danneggiare l’animale e su questo stiamo indagando». A dichiararlo è Sandro Mazzariol, ricercatore presso l’Università degli Studi di Padova e docente di anatomia patologica generale e tecniche anatomo-patologiche intervenuto a Vasto a coordinare la necroscopia sui tre capodogli morti a seguito dello spiaggiamento avvenuto nel tratto di spiaggia di Punta Penna nella Riserva di Punta Aderci.
«Al momento – aggiunge – non è documentato in nessun lavoro la correlazione diretta tra l’esposizione a queste fonti di suono e lo spiaggiamento dei cetacei. Ciò che è documentato è la correlazione tra l’esposizione a sonar militari di media frequenza e la sindrome embolica. Mi posso aspettare più facilmente un danno all’orecchio, che abbiamo prelevato qui a Vasto e cercheremo di indagare se ci sono stati dei danni diretti».
Dal 2006 coordina l’Unità di intervento per la necroscopia dei grandi cetacei per il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il docente vive in pratica tra le carcasse di animali marini, e in particolare tra i cetacei.
«Detto così – spiega – la cosa suona un po’ strana. Diciamo che il mio ambito di ricerca è individuare le cause di morte dei cetacei che spiaggiano lungo le coste italiane e del Mediterraneo. In particolare mi occupo dello spiaggiamento cosiddetto anomalo di balene o di massa».
Attività che ha avuto una forte accelerazione con l’episodio che si è registrato nel dicembre del 2009 dei sette capodogli poi deceduti sul litorale pugliese – dove Mazzariol è intervenuto – con la costituzione e il finanziamento da parte del Ministero dell’Ambiente di una task force nazionale di pronto intervento per l’intervento su spiaggiamenti straordinari di cetacei. Il nucleo operativo si chiama Cetacean stranding emergency response team (Cert) frutto di una convenzione con il Dipartimento di Biomedicina Comparata ed Alimentazione dell’Università degli Studi di Padova.
In questo contesto Mazzariol può essere considerato alla stregua di George Clooney della serie televisiva «E.R. medici in prima linea». Osservazione alla quale il ricercatore sorride. «Diciamo che è anche un lavoro estremamente divertente – dice – e interessante. Mettiamola così. Io non mi definisco in nessun modo. A me piace fare il patologo veterinario e non lo faccio solo con i cetacei. È un lavoro che mi dà molte soddisfazioni».
A Vasto l’attività è stata svolta con una grande capacità organizzativa. «Non credo nella competizione – tiene a evidenziare – ma nella cooperazione. Da anni mi sforzo di mettere insieme i ricercatori, persone ed enti di diversa provenienza ed estrazione perché solo con la cooperazione si ottengono risultati. Più che in Italia all’estero ci viene riconosciuta una buona capacità organizzativa e un buon approccio anche forense che in altri posti non esistono anche con la limitatezza di risorse a disposizione. Sono anni che ci prepariamo e abbiamo conseguito sul campo delle competenze, facendo tesoro delle esperienze».
Un esempio, rispetto al 2009, ora si è in grado come riuscire ad accedere al cervello che è «uno degli organi più importanti per i capodogli. Con la necroscopia si riesce a capire la causa e il meccanismo della morte dell’animale. È un atto pratico quello che facciamo sulla spiaggia, è solo l’inizio della nostra attività d’indagine e consente di osservare macroscopicamente tutte le lesioni evidenti a occhio nudo. Preleviamo dei campioni per gli esami successivi, che permettono di capire molto di più».
Necroscopia che ha consentito anche di studiare il fenomeno migratorio dei cetacei, oltre allo scambio d’informazioni con i ricercatori di altre nazionali anche attraverso gli animali vivi. «Il mar Ligure sembra essere una zona importante in particolare d’estate. Flussi migratori che vanno verso il mar Ionio e verso lo stretto di Gibilterra e proprio qui ci sono dei forti scambi genetici».
Gli episodi di spiaggiamento in Puglia e ora in Abruzzo di capodogli come possono essere classificati? «Sono definiti spiaggiamenti di massa e sono episodi anomali per la presenza rara dei capodogli in Adriatico. Studiare questi fenomeni permette di prevedere e quindi di agire di conseguenza».
Alla domanda se i capodogli sono spiaggiati per cause antropiche o patologie particolari il ricercatore dell’Università di Padova taglia corto. «Sono animali che come tutti gli altri soffrono di patologie spontanee, anche se gli uomini ci mettono lo zampino. Essere animali grandi non vuol dire esserne immuni. Siamo stati di recente a un workshop a Princeton con il professor Giovanni Di Guardo dell’Università di Teramo, che ha collaborato alla necroscopia dei tre cetacei a Vasto, dove abbiamo studiato il morbillivirus che è simile al nostro morbillo e al cimurro del cane, ed abbiamo scoperto che il capodoglio è sensibile anche a questa malattia. Non si esclude nulla, si ricerca tutto».
Con una precisazione. «Bisogna stare attenti, un conto sono le ipotesi, altra cosa è l’evidenza scientifica. Si è parlato di trivellazioni per l’Abruzzo. Non si tratta di correlazione diretta alle trivellazioni, l’attività di ricerca di petrolio e gas potrebbe per certi versi danneggiare l’animale e su questo stiamo indagando. Al momento non è documentato in nessun lavoro la correlazione diretta tra l’esposizione a queste fonti di suono e lo spiaggiamento dei cetacei. Ciò che è documentato è la correlazione tra l’esposizione a sonar militari di media frequenza e la sindrome embolica. Mi posso aspettare più facilmente un danno all’orecchio, che abbiamo prelevato qui a Vasto e cercheremo di indagare se ci sono stati dei danni diretti».
15 settembre 2014