La riforma del pubblico impiego appena varata dal Parlamento riscrive le regole della mobilità obbligatoria e volontaria del personale. A occuparsene è l’articolo 4 del decreto Pa (Dl 90/14, come convertito dalla legge 114/14, pubblicata lunedì sulla «Gazzetta Ufficiale». La legge è in vigore da ieri. La modifica delle disposizioni in materia di mobilità dei dipendenti pubblici si realizza mediante la riscrittura dei commi 1 a 2 dell’articolo 30 del Testo Unico Pubblico Impiego (decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001); la nuova disciplina rende più semplici i percorsi di trasferimento volontario, da un lato, e più agevoli quelli di trasferimento obbligatorio, dall’altro.
Secondo la nuova disciplina, le pubbliche amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti, qualora abbiano una qualifica corrispondente a quella necessaria e siano in servizio presso altre amministrazioni. Il passaggio si attua a condizione che i dipendenti facciano domanda di trasferimento, e che l’amministrazione di appartenenza dia il proprio assenso all’operazione.
Per agevolare la diffusione delle opportunità e la conoscenza dei posti vacanti, le amministrazioni devono pubblicare sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a 30 giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto.
Il bando deve indicare anche i requisiti che deve possedere il personale interessato al passaggio.
La legge prevede, in via sperimentale, e fino all’introduzione di nuove procedure per la determinazione dei fabbisogni di personale, che per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è necessario l’assenso dell’amministrazione di appartenenza. Quando ricorre questa ipotesi, il trasferimento deve essere attuato entro due mesi dalla richiesta dell’amministrazione di destinazione.
Per agevolare le procedure di mobilità il Dipartimento della funzione pubblica deve istituire un portale finalizzato all’incontro tra la domanda e l’offerta di mobilità.
Una volta attuato il trasferimento, l’amministrazione di destinazione deve provvedere alla riqualificazione dei dipendenti trasferiti, avvalendosi, ove necessario, della Scuola nazionale dell’amministrazione.
La riforma contempla una seconda modalità di trasferimento, che a differenza da quella appena vista si attua a prescindere dalla volontà del dipendente.
Secondo la nuova normativa, i dipendenti pubblici possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra gli enti interessati, in altra amministrazione, qualora la sede iniziale e quella finale si trovino nel territorio dello stesso comune. Il trasferimento può essere attuato anche quando, pur non trovandosi nello stesso comune, le due sedi si trovino a distanza non superiore a 50 chilometri. In questi casi, quindi, il dipendente non può opporsi al trasferimento (con alcune eccezioni, per i fruitori di congedi parentali e dei permessi previsti dalla legge 104).
Rispetto a questa forma di trasferimento non si applica, secondo la nuova disciplina, il terzo periodo del primo comma dell’articolo 2103 del codice civile. Si tratta della norma che vieta il trasferimento da una unità produttiva ad un’altra in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
La legge prevede la facoltà di emanare un decreto (a cura del ministro per la Pubblica amministrazione) con cui definire i criteri da applicare per realizzare i processi di mobilità obbligatoria e volontaria. Si tratta di una semplice facoltà, e quindi la mancata adozione del decreto non condiziona la possibilità di attuare i trasferimenti.
La legge, infine, dichiara nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le disposizioni appena descritte.
Il Sole 24 Ore – 20 agosto 2014