Approvato sul filo di lana il documento con le scelte nazionali per l’applicazione della nuova Politica agricola comunitaria. Ieri, infatti, il testo è stato inviato a Bruxelles nel termine fissato dalla Ue. Il disco verde è arrivato solo il giorno prima dal Consiglio dei ministri. Per i prossimi sette anni l’agricoltura italiana può contare su un plafond di 52 miliardi tra aiuti diretti e cofinanziati. In particolare, per i pagamenti diretti le risorse ammontano a 27 miliardi, 21 miliardi sono a disposizione per gli interventi dello Sviluppo rurale (la metà stanziata dalla Ue). E poi si aggiungono i 4 miliardi per l’Organizzazione comune di mercato. Il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina (nella foto), ha dovuto imprimere un’accelerazione al negoziato che in Italia è partito con fort ritardo rispetto agli altri paesi.
Alla fine, tra polemiche e ritocchi, è riuscito a trovare la quadra mettendo d’accordo regioni e organizzazioni agricole. L’ultima partita si è giocata sugli aiuti accoppiati che vale 426 milioni concentrati nei settori della zootecnia da carne e da latte (210 milioni l’anno), seminativi (146 milioni) e olivicoltura (70 milioni). «Abbiamo fatto scelte non banali – ha detto Martina – come destinare 80 milioni all’anno alle imprese agricole condotte dai giovani, con la maggiorazione del 25% degli aiuti diretti per 5 anni». Il ministro ha anche ricordato la riduzione della platea dei beneficiari con il taglio dei contributi a banche, assicurazioni, società immobiliari e finanziarie. La nuova Pac ha infatti una dotazione inferiore rispetto alla precedente programmazione con una riduzione al primo pilastro del 6,5% non compensato dall’aumento del 16% del secondo pilastro. Una delle novità è stata l’introduzione della figura dell’agricoltore attivo che ogni paese ha declinato secondo i suoi parametri e che in Italia ha portato a dirottare le risorse solo ai veri «professionisti». Non è la «Pac» che l’Italia avrebbe voluto, nonostante gli interventi migliorativi del Parlamento europeo, ma rappresenta un supporto strategico al sistema italiano che si affianca al piano di rilancio all’esame della Camera. «Abbiamo lavorato intensamente in questi mesi con le regioni – ha sottolineato il ministro – per trovare una sintesi delle esigenze particolari dei vari territori. Ora i nostri imprenditori agricoli hanno un anno per adeguarsi alla riforma in vista della prima domanda unica che sarà nel 2015». Soddisfatta la Coldiretti per l’accordo politico, ma ora il presidente Roberto Moncalvo chiede la rapida traduzione del documento «in un decreto per dare consistenza e operatività a una riforma che vale complessivamente 52 miliardi» e che assicura un sostegno ai settori portanti del made in Italy.
«Avremmo voluto scelte più coraggiose per orientare l’agricoltura a una maggiore competitività – ha commentato il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi – mentre le misure accoppiate ci creano difficoltà rispetto ai nostri partner. Ora apettiamo i due anni, fino al 2017, per approfondire gli aspetti della riforma e adattarli».
Il Sole 24 Ore – 2 agosto 2014