Stipendi dei dirigenti giù anche del 25%, revisione delle strutture organizzative e rilancio della mobilità. C’è tutto questo nel pacchetto degli interventi che il Governo sta studiando per la riforma della Pa, messa in calendario per aprile dal presidente del consiglio Matteo Renzi. Le modalità sono ancora da decidere, ma gli obiettivi di risparmio sono definiti e parlano di 3 miliardi, di cui 500 milioni dai dirigenti. Le prospettive più pesanti, però, sembrano attendere i politici regionali, ai quali la riforma costituzionale (al via in settimana) vuole attribuire indennità non superiori ai sindaci dei rispettivi capoluoghi: l’allineamento costerebbe il 41% al presidente del Lazio e taglierebbe di due terzi i compensi massimi ai presidenti delle Regioni più piccole. Per il personale della Pa Ridisegno delle strutture amministrative e attivazione effettiva della mobilità.
Sono queste le direttrici su cui comincia a muoversi nelle stanze della Funzione pubblica il nuovo piano di riforma dell’amministrazione mentre la questione “esuberi”, e l’ipotesi di un blocco totale del turn over evocata nei giorni scorsi insieme agli obiettivi di risparmio della spending review, rimane in secondo piano.
«Sulla mobilità – riflette Angelo Rughetti, sottosegretario alla Funzione pubblica – sono state scritte moltissime norme, ma non ne è stata attuata nessuna». I numeri dei censimenti condotti dall’Aran (si veda la tabella qui sopra) gli danno ragione e mostrano che la mobilità è rimasta negli anni un tema da convegno più che uno strumento di organizzazione della Pa: fra 2010 e 2012 hanno cambiato amministrazione tra le 4mila e le 6mila persone all’anno, cioè 15-20 dipendenti ogni 10mila contratti pubblici a tempo indeterminato. Un’inezia: i flussi in entrata si sono concentrati su Palazzo Chigi, che ha accolto quasi un terzo dei dipendenti pubblici che si sono spostati negli ultimi tre anni, mentre il personale in uscita si è allontanato soprattutto dai comparti territoriali, cioè sanità, regioni ed enti locali. La poca mobilità che ha finora caratterizzato la Pubblica amministrazione, insomma, sembra essere stata accesa quasi esclusivamente dall’aspirazione (legittima) di avvicinarsi al centro della macchina amministrativa.
Sulla spinta alla mobilità come mezzo di risparmio è tornato nei giorni scorsi anche il commissario Cottarelli, ma qui l’ostacolo è rappresentato dal trattamento economico di chi si sposta. Sul tema è intervenuta pochi giorni fa la Ragioneria in un parere (3591/2014, non pubblicato) che in pratica divide la mobilità in due: quella volontaria può portare a un abbassamento dello stipendio, ma quella obbligatoria (per esempio quando una funzione statale passa alle autonomie locali e si porta dietro i dipendenti che se ne occupavano) sfocerebbe nel mantenimento della retribuzione di partenza.
Più che sui singoli stipendi, però, i progetti di riorganizzazione legano gli obiettivi alle 7 La retribuzione di posizione è una componente accessoria del trattamento economico, che si somma allo stipendio «tabellare» ed è parametrata sulla base della collocazione del dipendente all’interno della gerarchia dell’amministrazione. Oltre a «tabellare» e «posizione», la busta paga comprende la retribuzione «di risultato», che dovrebbe essere legata alla valutazione delle performance prospettive di ridisegno e snellimento delle strutture. Dall’unione delle Scuole di specializzazione fiorite intorno ai singoli comparti agli accorpamenti di dipartimenti nei ministeri, gli spunti non mancano: ripensando le strutture, è l’idea, è possibile ridefinire anche le parti accessorie dello stipendio dei dirigenti, dalla «posizione» al «risultato», legando quest’ultimo a una valutazione che non è mai stata avviata. «È essenziale cambiare passo – spiega Rughetti – anche per far capire che arrivare ai vertici di una Pa non può mai significare aver fatto tredici al Totocalcio». L’obiettivo complessivo di risparmio assegnato alla Pa è di tre miliardi, ma «se riuscissimo a superarlo avremmo risorse per far ripartire i contratti o il ricambio generazionale»: altri temi che diventano ogni anno più urgenti.
Il Sole 24 Ore – 24 marzo 2014