Se l’Italia ha un cuore animalista, il Governo la segue a ruota. E con l’approvazione definitiva da parte del Consiglio dei ministri del 28 febbraio del Dlgs di recepimento della Direttiva 2010/63/Ue sulle sperimentazioni animali, le associazioni schierate in difesa delle cavie possono cantare vittoria, a scapito delle ragioni della ricerca scientifica. Il Consiglio dei Ministri del 28 febbraio ha infatti varato il testo senza sostanziali modifiche e nonostante il «disco giallo» della XIV Commissione (Unione europea) e della XII (Igiene e sanità) del Senato ha tirato dritto, ignorando i pareri dei parlamentari. I senatori avevano infatti sottolineato la possibile incompatibilità con la direttiva europea dei paletti “più restrittivi” introdotti dal Decreto legislativo. Il testo del Dlgs approvato
E cioè xenotrapianti, sostanze d’abuso ma anche divieto di allevamento sul territorio nazionale di cani, gatti e primati non umani da utilizzare a fini scientifici e limitazioni ulteriori sul riutilizzo degli animali.
Le critiche della ricerca. «Rispetto alla direttiva, tesa ad armonizzare le legislazioni nazionali nel continente – sottolinea Roberto Caminiti, docente ordinario di Fisiologia umana alla Università La Sapienza di Roma e chair del Committee on Animals in Research (Care) della Federation of the European Neuroscience Societies (Fens) – la legge italiana si caratterizza per una molteplicità di divieti, molti dei quali previsti dall’articolo 5, che vieta l’uso degli animali per ricerche su sostanze d’abuso, quindi sulle tossicodipendenze; su xenotrapianti, quindi parliamo di trapianti d’organo, valvole cardiache, ricerche di oncologia sperimentale; sulla formazione di giovani che non facciano parte di curricula in Medicina o Veterinaria, con la conseguente penalizzazione della sorgente principale di ricercatori nelle discipline biomediche, costituita da laureati in Scienze biologiche, naturali, Farmacia, Biotecnologie, Psicologia sperimentale».
La moratoria sui divieti. Per le ricerche su xenotrapianti e sostanze d’abuso, il Dlgs prevede una moratoria fino al primo gennaio 2017, condizionata a un monitoraggio che gli istituti zooprofilattici di Lombardia ed Emilia Romagna dovranno effettuare entro il 30 giugno 2016 «sulla effettiva disponibilità di metodi alternativi». Dunque un divieto basato su un punto interrogativo.
Tra l’altro, si legge nel parere della commissione Ue del Senato questo lasso di tempo «si ritiene necessario per portare a termine le procedure già autorizzate con la normativa vigente, ma soprattutto al fine di verificare la possibile incompatibilità del divieto con la normativa europea e la conseguente possibile apertura di una procedura di infrazione».
Il ricorso alla Corte Ue. A promuovere la procedura di infrazione ci penserà senza dubbio la comunità scientifica, non appena il testo sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale, presentando un ricorso alla Corte di Giustizia europea. «Il decreto legislativo – conclude Caminiti – viola in maniera palese l’articolo 2 della direttiva europea, che non consente ai paesi membri di applicare legislazioni più restrittive, viola il principio delle 3R (replacement, reduction e refinement, ndr.), poiché aumenterà in numero degli animali necessari per la ricerca, peggiorandone al contempo il benessere. Colpisce al cuore la ricerca biomedica italiana in settori di eccellenza, limita la ricerca di base, da sempre sorgente principale di scoperte utilizzate dalla medicina per la cura delle malattie, priva il nostro paese di uno strumento fondamentale per combattere quadri patologici nuovi e in continua evoluzione». La prossima mossa tocca quindi ai ricercatori e ai giudici di Lussemburgo.
Il Sole 24 Ore sanità – 7 marzo 2015