Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ottenuto la fiducia anche alla Camera: 378 sì, 220 no e un astenuto. Ieri l’esecutivo aveva superato il passaggio del Senato, ottenendo, con 169 voti a favore e 139 contrari. Il premier si è presentato alla Camera per lanciare la sua ultima e decisiva sfida per cambiare l’Italia, in quell’Aula che, ammette, gli fa tremare le gambe. «Abbiamo una sola chance da cogliere qui e adesso», avverte: quell’ultima occasione offerta dai segnali di ripresa per «fare l’unica cosa che possiamo fare, cambiare profondamente il nostro Paese, il sistema della Pa, quello della giustizia, del fisco, cambiare profondamente nella concretezza la vita quotidiana di lavoratori e imprenditori». Prima del voto a Montecitorio la replica del premier.
«Io non sono un onorevole ma voi siete onorevoli, degni di onore. Entrando mi sono detto quanto siate fortunati tutti i giorni, perchè ci facciamo un callo, ma sedete in posto dove grandissimi della nostra storia, di diverse estrazioni politiche e culturali, hanno seduto». ?«Lo sblocco totale dei debiti delle pubbliche amministrazioni deve costituire uno choc».
A Tunisi Il primo viaggio di Renzi all’estero, con il ministro degli Esteri Mogherini, «non sarà a Bruxelles, non sarà a Berlino ma sarà a Tunisi, la settimana prossima, nel cuore di quel mare nostrum che noi speriamo ritorni centrale».
«Per questo governo non ci sono alibi: se ci riusciremo abbiamo fatto il nostro dovere, se non ci riusciremo sarà solo colpa nostra; non è un atto di coraggio ma di responsabilità».
Democrazia interna «Nel Pd siamo siamo abituati a confrontarci in modo non formale e quando dobbiamo confrontarci e discutere, litigare, lo facciamo avendo il coraggio di riconoscere che chi vince ha la maggioranza e chi resta sta nello stesso parito»: è «la democrazia interna, provatela anche voi, non fa male e consente di essere persone migliori».
«L’Europa oggi non dà speranza – dice ancora il premier – perché abbiamo lasciato che il dibattito sull’Europa fosse solo virgole e percentuali. Noi vogliamo un’Europa dove l’Italia non va a prendere la linea per sapere che cosa fare, ma dà un contributo fondamentale, perchè senza l’Italia non c’è l’Europa».
La legge elettorale Renzi torna anche alla Camera a spiegare la nascita del suo governo fuori da un passaggio elettorale. Come ieri al Senato, infatti, il premier ha sottolineato che il Paese ha oggi «un’unica chanche: quella di sfruttare la timida ripresa per cambiare profondamente. Questo cambiamento radicale – ammette – avrebbe meritato un passaggio elettorale, ma solo se ci fossero state le condizioni di creare una maggioranza stabile, solida e responsabile del mandato degli elettori». Così non era e «se avessimo avuto un passaggio elettorale come un anno fa, il problema si sarebbe riprodotto».
Le tasse «La delega fiscale, che utilizzeremo nel momento in cui ci sarà affidata, in prospettiva deve diventare strumento per abbassare le tasse».
Sulla riduzione del cuneo fiscale «La doppia cifra è riferita ai miliardi e non alle percentuali. Se se si riduce di 10 miliardi non credo sia giusto fare sorrisi ironici, se arriveranno contributi anche su questo tema da opposizioni vi saremo grati».
I marò Rispetto ai «fucilieri di marina trattenuti in India il loro senso dell’onore richiede da parte del nostro governo un identico senso dell’onore che non mancherà nel tentativo di risolvere rapidamente la vicenda».
Al Senato. Renzi: se falliamo, la colpa sarà mia
Fabio Martini. Che governo sarà, cosa gli stia veramente a cuore, Matteo Renzi lo fa capire con una sfilza di lapsus, più o meno involontari. Durante i 68 minuti del suo primo discorso parlamentare, il giovane presidente del Consiglio non fa che dire «lasciatevelo dire da un sindaco», «scriverò ai miei colleghi sindaci», «da sindaco potrei parlarvi». Matteo Renzi non è più sindaco di Firenze, ma fa intendere di averlo dimenticato, perché il suo obiettivo è proporsi come «il sindaco d’Italia», interlocutore diretto dell’opinione pubblica, senza eccessive mediazioni. E Matteo Renzi, nella nuova veste di sindaco d’Italia, a partire da domani, riprenderà un’abitudine che aveva da sindaco di Firenze: andare a far visita ad una scuola. Da premier sarà ogni mercoledì, da sindaco era ogni martedì. Il discorso integrale di Renzi
Un sindaco d’Italia – e questo è il secondo messaggio più o meno subliminale del suo discorso – che sembra davvero preoccupato dal risultato delle elezioni Europee del 25 maggio, che potrebbero minarne la leadership. E quanto Renzi sia infastidito da quel test, lo fa capire di nuovo con due mezzi lapsus. Ad un certo punto sta parlando della riforma della pubblica amministrazione e dice: «La presenteremo prima delle elezioni…». A quali elezioni si riferisca, non si capisce, ma devono essere quelle che più lo preoccupano, le Europee, perché subito dopo riprende: «Sempre prima delle elezioni vogliamo anche a tutti i costi intervenire sul fisco, attraverso l’utilizzo della delega fiscale». E in un altro passaggio il presidente del Consiglio se ne esce improvvisamente così: «Noi pensiamo di poter andare nelle piazze a dire che la politica che abbiamo in testa è reale e precisa». E successivamente, a scanso di equivoci, indica una serie di riforme urgenti, dal mercato del lavoro a quelle istituzionali, che il governo vuole approvare prima di maggio. Prima delle fatidiche Europee.
In serata, dopo il dibattito in Senato, il governo ha ottenuto la scontata fiducia: 169 sì (ne era atteso qualcuno di più), 139 no su 308 votanti.
Naturalmente nel suo primo discorso da presidente del Consiglio ha parlato anche per i senatori presenti e lo ha fatto con frasi ad effetto e con intenti programmatici espressi per titoli ma almeno sulla carta innovativi. Il senso della sua mission, Renzi l’ha espresso nelle parole finali del suo intervento: «Questo è il tempo del coraggio, che non esclude nessuno e non lascia alibi a nessuno». Non li lascia neppure ai senatori in ascolto, che il presidente del Consiglio non esita a provocare: «Vorrei essere l’ultimo presidente del Consiglio che si trova su questi banchi a chiedere la fiducia». Come dire: se tutto deve andare, come deve, voi senatori la prossima volta non ci sarete, perché il Senato non esisterà più. E poi, sia pure per titoli ha scandito i tre impegni più immediati per il suo esecutivo: lo «sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione» con l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti; la «costituzione di un fondo di garanzia per le piccole e medie imprese che non riescono ad accedere al credito»; e la «riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale che dia risultati già in questi primi mesi del 2014». Renzi non ha spiegato nel dettaglio dove troverà le risorse per interventi così massicci, per i quali servono svariati miliardi, salvo fare più volte riferimento alla Cassa Depositi e prestiti che si alimenta dei risparmi postali e il cui utilizzo per interventi così imponenti è tutto da verificare.
Ma se Renzi è stato esplicito nelle raccomandazioni, nel metodo di lavoro, nel suggerire scadenze per ogni impegno programmatico, è rimasto sulle generali sui temi attorno ai quali era atteso con maggiore ansia dagli alleati del Nuovo Centro Destra. Non ha subordinato, come volevano sia Berlusconi che Alfano, la approvazione della legge elettorale alla abolizione del Senato, ha parlato di un nesso stretto tra le due riforme, ma si è tenuto le mani libere. E anche sui diritti civili – coppie di fatto e ius soli – ha auspicato generici compromessi. In replica ha sferzato tutti con un robusto j’accuse: «Ho provato vergogna per il fatto che la classe politica ha mostrato incapacità a individuare il successore ad un Presidente della Repubblica che aveva chiesto di non avere un secondo mandato», chiedendogli invece «un reale sacrificio personale e politico» mentre Napolitano aveva chiesto in cambio «ai partiti di farsi carico di un processo di riforme, un processo che non è partito». E quanto al suo governo, Renzi sostiene che «non è una operazione di potere», «l’obiettivo è il 2018 e lo confermiamo». E usa formule immaginifiche per rafforzare il concetto: «Non c’è un lifting», «noi verificheremo subito se è un bluff o no». Infine, la massima assunzione di responsabilità: «Se questa sfida la perderemo, la colpa sarà mia».
La Stampa – 25 febbraio 2014