di Boris Malatesta. Stessa molecola e stesse dosi, ma il farmaco per gli animali può costare anche cinque volte di più di quello destinato alle persone. E, per legge, il veterinario non può prescrivere il farmaco umano se ce n’è uno per cani e gatti. Così i proprietari cercano alternative che però possono creare guai per la salute e la sicurezza alimentare. Quando a soffrire è l’animale di casa, non si bada a spese: chi ha un cane o un gatto lo sa. E lo sanno anche le case farmaceutiche, le quali commercializzano farmaci dai costi ben più elevati degli omologhi umani. A giustificare il sovrapprezzo basterebbe la ricerca necessaria all’immissione sul mercato di nuovi prodotti, ma la sproporzione c’è anche per la vendita di molecole note da oltre vent’anni.
Cinquanta compresse da 5 milligrammi di un tonico cardiaco a base di benazepril hanno, ad esempio, un costo di circa 8 euro per gli umani e 47 euro in versione veterinaria.
Un collirio a base di tobramicina passa da 7,40 euro a 13,50 mentre la comunissima amoxicillina combinata con acido clavulanico costa 3 euro circa per gli umani e 14 per gli animali. Alcuni farmaci dai costi elevati, inoltre, fanno parte di terapie che andrebbero continuate per tutta la vita dell’animale e che non vengono rimborsate dal servizio sanitario nazionale.
Le case farmaceutiche, talvolta le stesse che producono farmaci umani, giustificano il divario di prezzo con la differenza di alcuni eccipienti e nella formulazione più adatta alla somministrazione veterinaria. Ma la forbice di prezzo è tale che, complice la crisi economica, un gran numero di proprietari di animali si procurano il corrispettivo umano per non rinunciare alle cure o semplicemente per risparmiare.
Stessa molecola e stesse dosi, ma il farmaco per gli animali può costare anche cinque volte di più di quello destinato alle persone
I veterinari non possono prescrivere farmaci ad uso umano se esiste l’omologo animale e, nel settore, il farmaco generico è di recente introduzione e comunque non ha differenze di prezzo significative. Quello che nella pratica succede è noto a tutti i padroni di animali, che si passano la voce. Si rinuncia alla prescrizione veterinaria e ci si procura il medicinale in qualche altro modo. Spesso facendoselo prescrivere per sé o utilizzando i farmaci che sono in casa.
La questione può sembrare da nulla ma rischia di avere risvolti negativi sulla sicurezza dei farmaci e sulla salute umana. Infatti questa pratica è in uso anche tra gli allevatori di animali da reddito. Quelli che poi mangiamo. Giuseppe Diegoli, del Servizio Veterinario della Regione Emilia-Romagna, spiega che il fenomeno è noto ai servizi di zooprofilassi che cominciano a preoccuparsi.
«La tracciabilità dei farmaci veterinari è indispensabile perché è sinonimo di sicurezza alimentare. Ottenere le medicine, in particolare gli antibiotici, attraverso il circuito destinato alla salute umana significa non riuscire a controllare i dati sulla farmaco-resistenza e di conseguenza sulle nuove patologie che si stanno sviluppando tra gli animali, non solo quelli da affezione ma quelli destinati all’alimentazione umana. A questi controlli la Comunità europea sta destinando cifre importanti e se non scoraggiamo questo fenomeno rischiamo di perdere il controllo sui virus che sviluppano resistenze ai farmaci.»
Sulla farmaco-vigilanza il ministero della Salute è intervenuto in diverse occasioni per ricordare a farmacisti, allevatori e veterinari di non sostituire medicine per uso animale con quelle umane. Non ha però mai incontrato le case farmaceutiche per cercare una mediazione sui prezzi di farmaci di uso comune, che sono la causa del problema.
Fonti e dati: ministero della Salute, Ordine Provinciale dei Medici Veterinari di Bologna
Interviste e conflitto d’interessi: Giuseppe Diegoli è dipendente della Usl in forza al servizio veterinario della regione Emilia-Romagna e dichiara di non aver mai lavorato per case farmaceutiche veterinarie
Corriere della Sera – 26 novembre 2013