Il gip del tribunale di Roma Giulia Proto ha archiviato il procedimento sulla presunta maxi truffa delle quote latte che rischia di far pagare dall’Italia una multa salatissima all’Europa. Per il giudice ci sono condotte gravissime ed una serie di incongruenze che dipingono un quadro più che fosco ma manca l’elemento soggettivo del reato di truffa, cioè la prova che tutto sia stato fatto con la piena consapevolezza e volontà. Il gip romano, cui sono confluite le indagini di una settantina di procure italiane dove erano approdate le denunce degli allevatori, ha disposto contestualmente, quindi, il rinvio degli atti al pm di Roma affinchè valuti in merito a un’iscrizione a carico dei funzionari della Agea per il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale. L’ordinanza
E’ la prima volta che un giudice scrive nero su bianco in un’ordinanza che sono stati falsificati in maniera significativa i dati della produzione lattiera italiana. I funzionari Agea, alterando l’algoritmo di calcolo, “gonfiavano” le multe latte e così si giustificavano le sanzioni.
Delle quote latte si sono occupate oltre 70 procure italiane che hanno cercato di guardare dentro una delle più grosse macchinazioni ai danni dello Stato e degli agricoltori per lucrare sui finanziamenti europei. Con allevatori multati, trattati da truffatori per aver sforato le quote latte. Costretti a chiudere le aziende. Ma gli sforamenti non c’erano. E quelle multe non erano dovute. Ora il Gip Proto, nella sua ordinanza, sottolinea come la non corretta quantificazione delle quote latte abbia cagionato ingenti danni sia ai produttori che allo Stato italiano a causa della comminazione di sanzioni per aver sforato la singola quota latte attribuita.
La vicenda è scaturita dalle relazioni di una commissione d’indagine finalizzata a verificare le quote latte, nominata il 25 luglio 2009 dall’allora ministro delle Politiche Agricole, Luca Zaia. Molto probabilmente nessuno avrebbe potuto ipotizzare quello che poi sarebbe finito nelle relazioni dei carabinieri che hanno indagato. Nell’inchiesta era coinvolto anche l’Istituto Zooprofilattico di Teramo “Giuseppe Caporale”.
I carabinieri hanno accertato ingenti quantitativi di quote latte non revocate da parte delle Regioni a causa della mancata segnalazione dell’ente responsabile: l’Agea. Le quote revocate annualmente devono essere ridistribuite gratuitamente tra produttori in base a disposizioni regionali, ma questo non avveniva. Qualcuno, non autorizzato, si accaparrava quella quote latte e poteva quindi importare latte dall’estero, quindi di mucche non presenti sul territorio italiano.
In pratica anche dopo il periodo della “lattazione” sulla carta le mucche continuavano a produrre giungendo all’assurdo di capi di 82 anni, il che non esiste in natura. Sono state scoperte, inoltre, migliaia di aziende presenti nella Banca Dati Nazionale, detenuta dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo, prive di autorizzazione alla produzione del latte, il cui prodotto quindi non sarebbe stato commerciabile. Secondo la normativa invece per ogni azienda dovrebbe essere indicata la presenza o meno dell’autorizzazione.
Il giudice per le indagini preliminari di Roma, Giulia Proto, dà per accertata l’indebita percezione dei contributi da parte di terzi e dunque conferma l’indagine ha evidenziato che le quote da revocare per mancata produzione di latte erano certamente superiori rispetto a quelle effettivamente revocate.
Tale omissione è «certamente ascrivibili ai funzionari della Agea, organo competente in materia con conseguente danno ai produttori in quanto le quote revocate devono essere distribuite ai produttori gratuitamente».
«CONDOTTE PER MERO ERRORE»
Tuttavia, scrive il giudice nella sua ordinanza di archiviazione, la situazione accertata «determina una responsabilità quantomeno per colpa grave ma in mancanza di elementi che possono fare evincere l’elemento psicologico del reato per cui si procede, cioè il dolo». Per questo «non può dirsi integrata la truffa». Ne consegue che «la colpa grave non consente di ritenere il fatto penalmente rilevante pur essendo assai grave la condotta tenuta dei funzionari che in ogni caso deve essere fatta valere in altre sedi. Né appare allo stato possibile integrare le indagini anche al fine di verificare chi ha percepito il contributo comunitario in quanto l’accertamento andrebbe a riguardare eventuali reati compiuti tra il 2003 ed il 2004 già prescritti».
Le indagini poi non sono riuscite a precisare a quale soggetto imputare le condotte anche al fine di stabilire la competenza territoriale.
Quanto alla non corretta quantificazione delle quote latte che ha cagionato ingenti danni sia ai produttori che allo Stato italiano a causa della comminazione di sanzioni per aver sforato la singola quota latte attribuita, il giudice concorda con il pm che parla di «mero errore di natura contabile» per gli anni in cui ancora la questione non era all’attenzione dei media e prima che venissero comminate le sanzioni.
Secondo il giudice non può infatti ipotizzarsi il reato di truffa poiché a fronte del danno cagionato mancherebbe l’ingiusto profitto in favore dei soggetti agenti, cioè dei funzionari della Agea, e pertanto non avrebbero avuto interesse a falsificare il dato con conseguente impossibilità di ravvisare l’elemento psicologico del reato.
In sostanza secondo il pm ed il giudice le indagini non avendo scoperto quale sarebbe stato l’ingiusto profitto per i soggetti che hanno immesso i dati errati nel sistema non si può nemmeno individuare il perché e dunque la volontà di tale condotta.
ASPETTI DA APPROFONDIRE
Ci sono tuttavia, secondo il giudice, aspetti da approfondire come per esempio la condotta tenuta successivamente dei funzionari dell’agenzia i quali per giustificare l’errore commesso -e quindi evitare la responsabilità contabile- hanno chiesto la modifica dell’algoritmo ossia dei criteri di calcolo del numero dei capi potenzialmente da latte.
Le indagini hanno evidenziato come attraverso la costruzione dell’algoritmo si potesse favorire poi il risultato sballato che forniva le pezze d’appoggio per ottenere i finanziamenti.
Ed, infatti, successivamente dopo che l’inchiesta ha creato scalpore, sono stati modificati i criteri che compongono l’algoritmo come il limite massimo di età dei capi da latte che da 120 mesi è passato a 999 mesi, ossia 82 anni di età.
Le indagini hanno sempre accertato che questo è avvenuto per espressa richiesta dei funzionari di Agea con l’evidente fine di giustificare il dato in eccesso che aveva determinato le sanzioni. La sola manomissione di questo dato ha determinato le differenze nel calcolo della produzione nazionale di latte con il conseguente sforamento delle quote.
Dunque tutto confermato dalle indagini compresa la volontà dei funzionari dell’agenzia di intervenire in questa manomissione; funzionari che non potevano certo ignorare la inverosimiglianza del dato che poi generava risultati non rispondenti al vero. Tali calcoli tuttavia vengono inseriti in atti il cui contenuto deve pertanto ritenersi «ideologicamente falso».
Pertanto se è vero che non può ipotizzarsi il reato di truffa non altrettanto può dirsi in ordine al reato di falso. Il giudice pertanto sollecita il pm all’iscrizione nel registro degli indagati dei funzionari che dovranno rispondere di quest’ultimo reato.
Fonti varie. Testo raccolto da Sivemp Veneto -16 novembre 2913 – riproduzione riservata