Il Sole 24 Ore di oggi pubblica una Guida alle pensioni con cinque pagine di approfondimenti. La riforma delle pensioni aggiunge un altro tassello con le nuove regole per gli iscritti alle gestioni ex Inpdap ed Enpals che, dal prossimo anno, sono destinatari di requisiti più severi, in linea con le regole-base per i lavoratori del settore privato e di quello statale. Lo schema della legge Fornero, a due anni di distanza dal varo del decreto 201/2011 – per affrontare l’emergenza finanziaria – continua a essere valido. Anche le ipotesi correttive (si veda articolo sotto) non sembrano mettere in discussione l’impianto fondato su due capisaldi: il metodo di calcolo – contributivo pro rata per tutti (anche per coloro che erano stati esclusi dalla Dini del 1995) – e aumento dell’età per il pensionamento, con un innalzamento anche dell’anzianità contributiva.
I requisiti anagrafici, in base al decreto legge 201/2011, sono costantemente aggiornati secondo l’andamento della speranza di vita: gli adeguamenti, in una prima fase, sono triennali, poi diventeranno più frequenti, una volta ogni due. La riforma, peraltro, prevede solo ritocchi sll’insù e non è prevista l’ipotesi di correzioni in diminuzione nel caso le tabelle sulla vita media mostrassero un andamento al ribasso.
In ogni caso, l’aumento dei requisiti per la speranza di vita è già avvenuto nel 2013: il prossimo anno, dunque, ci sarà la cristallizzazione dell’incremento (i tre mesi fissati dalla legge). Invece, le novità sono quelle contenute nelle regole “strutturali”. Da gennaio, in particolare, aumentano i requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia per le donne del comparto privato: 63 anni e nove mesi per le dipendenti e 64 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome. Per gli uomini, dipendenti e autonomi, restano confermati i 66 anni e tre mesi, così come per le donne dipendenti del settore pubblico.
Per le donne va ricordato che resta aperta la strada dell’opzione al contributivo: in pratica si scambia un’età della pensione un po’ anticipata con un metodo di calcolo rispetto a tutti i contributi accreditati che nella generalità dei casi dovrebbe portare a un assegno meno ricco. In pratica, le donne possono optare per il contributivo avendo raggiunto i 57 anni e tre mesi , se dipendenti, e i 58 anni e tre mesi, se autonome.
Attenzione, però: i calcoli di convenienza devono essere fatti velocemente, perché la scelta deve avvenire nelle prossime settimane. Si deve infatti tenere conto dell’intervallo tra la maturazione dei requisiti – 12 mesi per le dipendenti e 18 per le autonome – e la decorrenza dell’assegno, che deve avvenire entro il 31 dicembre 2015.
L’altra chance è costituita dalla pensione anticipata, ma anche in questi casi occorre mettere in preventivo l’aumento dei requisiti stabilito per legge, oltre all’incremento di tre mesi della speranza di vita già incamerato per legge.
In pratica, per la pensione anticipata dipendenti e autonomi, dal prossimo anno, dovranno lavorare un mese in più: 42 anni e sei mesi gli uomini e 41 anni e sei mesi le donne.
Pubblico impiego. L’obbligo scatta a 65 anni. Con requisiti maturati entro il 2011 valgono le vecchie regole
L’effetto deriva dall’interpretazione autentica dell’articolo 2 del Dl 101/13 (decreto salva Pubblica amministrazione)
I dipendenti pubblici che hanno maturato un qualsiasi diritto a pensione con le regole previgenti la riforma Monti-Fornero (Dl 201/2011) e che sono ancora in servizio cesseranno la propria attività lavorativa al compimento del 65esimo anno di età. È questo l’effetto immediato che avrà l’interpretazione autentica fornita dall’articolo 2 del Dl 101/2013 (decreto sul pubblico impiego, in attesa di conversione in legge).
Sin dall’entrata in vigore del Dl 201/2011 (decreto Salva Italia) la Funzione pubblica con la circolare 2/2012 e l’Inps – gestione ex Inpdap – avevano interpretato l’articolo 24 della riforma nel senso che il lavoratore con un diritto a pensione acquisito entro il 31 dicembre 2011 non potesse permanere in servizio al fine di raggiungere i nuovi e più severi requisiti richiesti dalla nuova norma.
Il Tar Lazio, con la sentenza 2446/2013, aveva annullato uno stralcio della citata circolare nella parte in cui stabiliva che la Pubblica amministrazione doveva collocare a riposo al compimento del 65esimo anno di età i dipendenti che nell’anno 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o comunque dei requisiti prescritti per l’accesso a un trattamento pensionistico diverso dalla pensione di vecchiaia. Nel contempo, il Tar aveva accertato il diritto del ricorrente a permanere in servizio fino al compimento del 66esimo anno, nuovo limite di età previsto dalla riforma previdenziale per il 2012. La Funzione pubblica era intenzionata a ricorrere al Consiglio di Stato al fine di vedersi riconoscere la proprie ragioni ed evitare che la riforma previdenziale non producesse gli effetti voluti dal legislatore dell’epoca.
Oltre al caso descritto, c’è un’altra possibilità di collocamento a riposo: i lavoratori potranno rimanere a casa per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro anche al compimento del 40esimo anno contributivo qualora tale ipotesi sia applicabile all’Ente. L’articolo 72, comma 11, del Dl 112/2008 prevede infatti la possibilità in capo alle amministrazioni di risolvere il rapporto di lavoro nei casi di raggiungimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni. I lavoratori in possesso della quota 96 entro il 2011, con almeno 60 anni di età e 35 anni di contributi oltre gli eventuali resti per perfezionare la quota, potranno subire il recesso da parte dell’Amministrazione al compimento del massimo requisito contributivo. Rientrano nella rete dei vecchi requisiti anche le donne nate entro il 1950 – che hanno quindi perfezionato il requisito di 61 anni vigente nel 2011 – che abbiano almeno20 anni di contributi; si vedranno risolvere il rapporto di lavoro al compimento del limite ordinamentale di 65 anni. In altri termini, tale limite di età rimane invalicabile nei confronti di quei lavoratori con un qualsiasi diritto a pensione perfezionato entro il 31 dicembre 2011. Eventuali prosecuzioni sono ammesse solo al fine di garantire continuità tra stipendio e assegno pensionistico nell’ipotesi in cui la decorrenza di quest’ultimo non sia immediata, oppure nel caso in cui l’Amministrazione abbia concesso il biennio di mantenimento in servizio previsto dall’articolo 16 del DLgs 503/1992.
Tale interpretazione deve ritenersi coerente poiché, per quei lavoratori che già alla fine del 2011 avevano un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni, il prolungamento dell’attività lavorativa avrebbe comportato benefici economici in sede di determinazione della pensione; con l’introduzione del sistema contributivo pro rata anche nei confronti di quei lavoratori che fino ad allora ne erano rimasti esclusi (soggetti retributivi con almeno 18 anni di contributi perfezionati al 31 dicembre 1995), dal 2012 tali soggetti si sarebbero visti valorizzare delle quote di pensione cui non avrebbero avuto diritto se il rapporto di lavoro si fosse risolto al raggiungimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni. Prima della riforma, infatti, il superamento di tale anzianità non comportava benefici diretti legati all’aumento dell’anzianità contributiva.
Prolungamento a 70 anni possibile solo per pochi
La riforma Monti-Fornero è nota sia per l’introduzione del sistema contributivo pro rata nei confronti di quei lavoratori fino ad allora risparmiati da tale sistema di calcolo, sia perché consente il proseguimento dell’attività lavorativa fino a 70 anni di età. Infatti, il decreto direttoriale del ministero del lavoro del 15 maggio 2012 ha stabilito i nuovi coefficienti validi per il triennio 2013/2015 (relativi alla trasformazione del montante contributivo in rendita) e ne ha previsto l’estensione da 65 a 70 anni. Anche a tale situazione si applicherà l’adeguamento legato alla speranza di vita.
L’innalzamento riguarderà i lavoratori la cui pensione di vecchiaia è liquidata a carico dell’Assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive e sostitutive della medesima nonché della gestione separata Inps. I coefficienti che trasformano il montante accumulato nel corso degli anni sono strettamente legati all’età posseduta dal lavoratore all’atto del pensionamento. Maggiore sarà l’età, più elevato sarà il coefficiente, a cui corrisponderà un importo di pensione superiore. Il montante si applica nei confronti dei lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 1995, relativamente alle anzianità contributive maturate successivamente; per i soggetti con almeno 18 anni di contributi al 1995, il montante sarà calcolato dal 2012.
Questa incentivazione alla prosecuzione dell’attività lavorativa incontra però un forte limite nel pubblico impiego dove, di norma, il limite ordinamentale al raggiungimento del quale l’Amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro è fissato a 65 anni. L’articolo 2, comma 5, del Dl 101/2013 ha interpretato autenticamente l’articolo 24 della riforma Monti-Fornero nel senso che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale – al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione – non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia; si fa eccezione solo per il trattenimento in servizio o per far conseguire all’interessato la prima decorrenza utile della pensione.
Nel pubblico impiego esistono categorie di lavoratori per i quali il limite ordinamentale è più elevato dei 65 anni. Si tratta in particolare dei professori universitari, dei magistrati, degli avvocati e procuratori dello Stato, che in base ai rispettivi ordinamenti sono collocati a riposo al raggiungimento del limite dei 70 anni di età. Si ricorda che tali limiti non sono soggetti agli adeguamenti legati alla speranza di vita. Il beneficio per queste categorie di lavoratori è notevole poiché lo stipendio aumenta annualmente, salvo la vigenza degli attuali blocchi retributivi, in funzione degli adeguamenti inflattivi e sulla base di appositi decreti. Inoltre, cessando dal servizio con età particolarmente elevate, la rendita previdenziale sarà calcolata con coefficienti più alti (rispetto a cessazioni con età inferiori) poiché l’attesa di vita risulta più breve rispetto a chi è andato a riposo con età inferiori.
Tre strade per «sommare» i contributi. A ricongiunzione e totalizzazione (onerosa) da quest’anno si affianca il cumulo gratuito per la «vecchiaia»
Con la totalizzazione, così come con la ricongiunzione, l’assicurato che possiede più periodi contributivi accreditati in gestioni diverse, può unificarli per ottenere una pensione unica. La ricongiunzione fa confluire in modooneroso i periodi assicurativi da una gestione all’altra che sarà poi quella che pagherà la pensione. La totalizzazione invece è gratis e permette l’unificazione dei periodi e l’erogazione di una pensione che è la somma dei trattamenti di competenza di ogni ente previdenziale.
Tuttavia, la pensione totalizzata sarà in genere calcolata con il sistema contributivo, mentre la pensione frutto della ricongiunzione potrà essere basata su una quota calcolata con il sistema retributivo, ad appannaggio della stragrande maggioranza degli assicurati (che hanno iniziato a lavorare prima del 1996).
Per evitare questo inconveniente l’ultima legge di stabilità (228/12) ha varato l’istituto del cumulo dei contributi versati in più gestioni per conseguire però la sola pensione di vecchiaia maturata con le regole del sistema misto, che tiene cioè conto anche di una quota retributiva, che in alcuni casi può arrivare fino alle anzianità maturate fino al 31 dicembre 2011.
La ricongiunzione
La ricongiunzione presuppone la sussistenza di periodi di contribuzione in almeno due delle forme pensionistiche obbligatorie; non è richiesta l’iscrizione in atto alla data della domanda, né è previsto un requisito contributivo minimo. Per la ricongiunzione di eventuali periodi di lavoro autonomo (artigiani e commercianti), nel periodo tra la domanda di ricongiunzione e l’ultima contribuzione devono essere maturati almeno 5 anni di contribuzione in una o più gestioni dei dipendenti.
In parallelo, con l’abolizione della gratuità della ricongiunzione dai fondi statali all’Inps (dal 31 luglio 2010), è stata abrogata anche la costituzione gratuita della posizione assicurativa al fondo pensioni lavoratori dipendenti Inps da parte dei dipendenti di fondi statali e di alcuni fondi speciali Inps. Questo istituto è rimasto in vigore per i dipendenti delle ex Casse statali (confluite nell’Inpdap) che sono cessati dal servizio prima del 31 luglio 2010 senza aver maturato il diritto a pensione. Questa facoltà eccezionale è stata però preclusa ai dipendenti di altre ex Casse statali come quelli della ex Cpdel, ossia degli enti locali che non avessero fatto domanda entro il 31 luglio 2010.
La legge 228/12 ha reintrodotto solo per gli iscritti alla Cpdel nonché alla Cps (Cassa sanitari), Cpi (Cassa insegnati asilo e elementari di scuole parificate) e Cpug (Cassa ufficiali giudiziari) per i quali sia cessata l’iscrizione alle predette casse senza il diritto a pensione, la possibilità di presentare domanda di costituzione della posizione assicurativa nel Fpld (fondo pensioni lavoratori dipendenti) dell’assicurazione generale obbligatoria.
Totalizzazione
Per avvalersi della totalizzazione è necessario che l’assicurato non sia titolare di pensione erogata da una gestione obbligatoria, comprese le casse professionali. Inoltre la totalizzazione non può riguardare periodi parziali maturati in ciascuna gestione, né periodi coincidenti. Non è più richiesto il requisito di almeno 3 anni di contributi accreditati in ciascuna delle gestoni interessate. Totalizzare significa poter maturare la pensione di vecchiaia (con 65 anni e 3 mesi dal 2013 e 20 anni di anzianità contributiva), oppure la pensione di anzianità (40 anni e 2 mesi di anzianità contributiva nel 2013; dal 2014 il requisito è di 40 anni e 3 mesi).
Le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano la misura del trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione, tenendo conto che per i periodi maturati fino al 31 dicembre 1995, ciascuna gestione determina il montante secondo le regole dell’opzione per il sistema contributivo, mentre per quelli successivi si applica il sistema contributivo.
Cumulo dei contributi
Il cumulo contributivo ha gli stessi vantaggi della totalizzazione (è gratuito) e unisce quelli della ricongiunzione, ossia fonda il calcolo della pensione su di una quota retributiva che può essere più o meno ampia a seconda che l’anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 fosse superiore o inferiore a 18 anni.
Infatti, la legge 228/12 si riferisce, quanto ai destinatari, a chi ha iniziato a versare contributi prima del 1996 (sistema misto), e stabilisce che per determinare il sistema di calcolo, ai fini dell’accertamento dell’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995, occorre avere riguardo all’anzianità contributiva complessivamente maturata nelle diverse gestioni assicurative. Il “buco” che la nuova legge lascia riguarda gli iscritti alle casse professionali a cui non si applica e che quindi dovranno ricorrere alla totalizzazione o alla ricongiunzione per unificare contributi sparsi.
Il cumulo permette in definitiva di arrivare alla quota minima di 20 anni di anzianità sommando le contribuzioni accreditate in gestioni diverse, fermo restando che l’età minima è quella che la Riforma Fornero del 2011 ha elevato progressivamente e che oggi nel 2013 per le donne del settore privato è pari a 62 e 3 mesi e per gli uomini è pari a 66 anni e 3 mesi.
L’Inps, con la recente circolare 120/2013, ha precisato che la regola del pensionamento per chi ha maturato i 15 anni di anzianità contributiva al 31 dicembre 1992 opera anche nei confronti di coloro che accedono al regime di cumulo liquidando la pensione con le modalità di calcolo misto, purché maturino un’età minima pari a quella indicata in precedenza
È aperto il cantiere delle correzioni
Un assegno anticipato per i lavoratori espulsi dal mercato e a pochi anni dalla maturazione dei requisiti di pensionamento e una nuova calibratura dei meccanismi di perequazione dei trattamenti sei volte superiori il minimo. Ruota attorno a queste due ipotesi principali il canovaccio delle correzioni in materia previdenziale cui sta lavorando il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, insieme con i suoi più stretti collaboratori. Interventi che potrebbero essere affiancati da adeguamenti minori, capaci di generare flussi aggiuntivi di gettito contributivo, come per esempio una revisione delle aliquote legate ai voucher. I tecnici stanno vagliando tutte le simulazioni di impatto su platee e flussi di cassa Inps, in attesa delle scelte politiche che si determineranno in vista della legge di stabilità.
La prima misura, che certamente non risponde alla richiesta di una maggiore flessibilità in uscita gradualizzata con penalizzazioni voluta dalla sinistra Pd e dai sindacati, ha il pregio di dare una via d’uscita a una situazione di necessità senza stravolgere gli equilibri attuariali del sistema. Con 62 anni e 35 di contributi i senza lavoro e senza ammortizzatore sociale potrebbero avere un anticipo di pensione per tre o quattro anni, da restituire poi con micro-ritenute sull’assegno quando questo diventerà definitivo. Le modalità di definizione di questa specie di sussidio di ultima istanza prima della pensione vera e propria sono tutt’altro che stabilite (si lavora su coefficienti di trasformazione e medie contributive), e non è ancora chiaro se il flusso di cassa Inps avrà un impatto sul deficit o sul debito pubblico del prossimo anno.
Per le rivalutazioni la scelta sembrerebbe invece già fatta. La riforma Fornero era intervenuta con un blocco delle perequazioni superiori a tre volte il minimo (1.486 euro lordi al mese) per il biennio 2012-2013. Dall’anno prossimo si dovrebbe tornare alle vecchie regole ( legge 488/1998), ovvero rivalutazione del 100% dell’assegno fino a tre volte il minimo, del 90% dell’assegno per la parte compresa tra tre e cinque volte il minimo e del 75% per la quota superiore. Ma il ministro Giovannini ha fatto un passo in più, dicendo che un migliore adeguamento del costo della vita sarà garantito anche agli assegni fino a sei volte il minimo. Che cosa accadrà per le pensioni oltre quella soglia di 2.973 euro lordi non si sa. Ma il passo in più potrebbe costare un centinaio di milioni nel 2014 con un’inflazione attorno all’1,5-1,7 per cento. Quelle risorse sarebbero trovate facilmente grazie alla minore spesa per gli esodati, sulla quale le verifiche potranno essere chiuse solo tra qualche mese.
Per qualche risparmio si punta sul ritocco dei voucher, con un loro aumento (forse da 10 a 12-15 euro) per garantire quella progressione verso l’alto delle aliquote contributive prevista dall’ultima riforma. Un’altra incognita rimane su eventuali e ulteriori interventi di solidarietà sulle pensioni più elevate, visti i vincoli costituzionali da rispettare e la certezza che si tratterebbe comunque di una misura di scarsa portata in termini finanziari complessivi, se non si decidesse di scendere con i prelievi anche su assegni medio-alti e non solo sui pochi «d’oro o d’argento».
In attesa delle conferme sulle scelte finali, è certo che il Governo potrà muoversi entro margini limitatissimi se vorrà, come ha più volte annunciato, assicurare più risorse possibili per il taglio del cuneo fiscale, le politiche attive per il lavoro e nuove forme di inclusione sociale. La spesa previdenziale resterà infatti la sorvegliata speciale ancora per lungo tempo, con una curva che, a legislazione vigente, la colloca stabilmente oltre il 16% del Pil fino al 2017 e oltre il 15% nel 2030. L’ultimo andamento di questo aggregato, che copre oltre un terzo della spesa corrente (dal 33,7% di quest’anno al 35,1% del 2017), è stato fotografato nella nota di aggiornamento al Def. La stabilizzazione realizzata con le riforme degli ultimi vent’anni mette le finanze pubbliche al riparo della prevista transizione demografica (maggior invecchiamento e allungamento delle aspettative di vita). Tant’è vero che da qui al 2060 il rapporto spesa/Pil scenderà dello 0,9% in Italia contro l’aumento medio dell’1,6% degli altri paesi Ue. Ma si tratta di una stabilizzazione a livelli da brivido, con prestazioni monetarie che fluttueranno dai 255 miliardi previsti quest’anno ai 284,7 del 2017.
Ultimi mesi per il regime sperimentale
Interessate le donne che vogliono anticipare il trattamento di anzianità optando per il sistema contributivo
La possibilità per le donne di anticipare la pensione di anzianità optando per il sistema di calcolo contributivo sta per concludersi (salvo proroga). Poiché, infatti, la decorrenza della pensione deve scattare entro il 31 dicembre 2015, la domanda va presentata in tempo utile considerando le finestre di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e di 18 mesi per quelle autonome. I requisiti dovranno essere perfezionati, quindi, entro ottobre 2014 ed entro aprile 2014 rispettivamente.
L’anticipo per le donne
La riforma del governo Monti conferma quanto stabilito dall’articolo 1, comma 9, della legge n.243 del 23 agosto 2004. Questa norma prevede a favore delle lavoratrici dipendenti, appartenenti sia al settore privato che a quello pubblico, e per le lavoratrici autonome, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2015, la possibilità di conseguire il diritto alla pensione di anzianità, liquidata però secondo le regole di calcolo del sistema contributivo. Per esercitare questa opzione le lavoratrici devono possedere i seguenti requisiti: 1 almeno 35 anni di anzianità contributiva; 1 età di 57 anni o superiore per le lavoratrici dipendenti, 58 per quelle autonome.
Vanno considerati, inoltre, gli incrementi legati alla speranza di vita ( tre mesi già dal 1?gennaio 2013). Entro il 31 dicembre 2015 il Governo verificherà i risultati della sperimentazione allo scopo di un’eventuale prosecuzione. Inoltre, tale trattamento pensionistico di anzianità va soggetto alla finestra mobile e cioè decorre una volta trascorsi 12 mesi (18 mesi per le lavoratrici autonome) dalla data di maturazione dei relativi requisiti pensionistici. Tale decorrenza deve collocarsi prima del 31 dicembre 2015.
L’Inps, con il messaggio n. 219 del 4 gennaio 2013, ha fornito ulteriori chiarimenti. Per la valutazione della contribuzione per il perfezionamento dei 35 anni sono utili, nel limite di 52 settimane annue, i contributi obbligatori, da riscatto e/o da ricongiunzione, volontari, figurativi con esclusione dei contributi accreditati per malattia e disoccupazione, tenuto conto che per le lavoratrici che usufruiscono della sperimentazione l’applicazione del sistema contributivo è limitata alle sole regole di calcolo.
Considerato, quindi, che nei confronti delle donne che accedono al predetto regime sperimentale si applicano le sole regole di calcolo del sistema contributivo, nei confronti delle medesime continuano a trovare applicazione gli istituti della pensione retributiva o mista. Viene quindi riconosciuto il trattamento pensionistico minimo e non è richiesto il requisito dell’importo minimo, previsto per coloro che accedono al trattamento pensionistico in base alla disciplina del sistema contributivo.
Pensione di vecchiaia
Per l’accesso alla pensione di vecchiaia sono stati ridefiniti i requisiti anagrafici. Per le lavoratrici del settore privato è stato previsto un innalzamento graduale dell’età pensionabile, a partire dal 2012 e per gli anni successivi: 1 62 anni per le lavoratrici dipendenti la cui pensione è liquidata a carico dell’Ago e delle forme sostitutive della stessa, dal 1? gennaio 2012. Questo requisito anagrafico è fissato a 63 anni e sei mesi a decorrere dal 1? gennaio 2014, a 65 anni a decorrere dal 1? gennaio 2016 e 66 anni a decorrere dal 1? gennaio 2018. Resta in ogni caso ferma la disciplina di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita secondo l’articolo 12 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (già tre mesi dal 1?gennaio 2013); 1 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 dal 1? gennaio 2012. Tale requisito anagrafico è fissato a 64 anni e 6 mesi a decorrere dal 1? gennaio 2014, a 65 anni e 6 mesi a decorrere dal 1?gennaio 2016 e a 66 anni a decorrere dal 1? gennaio 2018. Resta in ogni caso ferma la disciplina di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita.
Pensione anticipata
Questo tipo di pensionamento sostituisce la vecchia pensione di anzianità con 40 anni di contributi. Per l’ottenimento della nuova pensione anticipata, indipendentemente dall’età anagrafica, in base al comma 10 dell’articolo 24 della manovra Monti occorre il possesso del seguente requisito contributivo: 1 42 anni e 1 mese per gli uomini a decorrere dal 1?gennaio 2012; 1 41 anni e 1 mese per le donne sempre a decorrere dal 1?gennaio 2012.
Per uomini e donne, poi, si verifica un ulteriore aumento di 1 mese nel 2013 e 2014. Va poi sottolineato che scattano gli incrementi legati alla speranza di vita (tre mesi già dal 2013).
Assegno sociale
Dal 1?gennaio 2013 l’incremento di 3 mesi legato alla speranza di vita scatta anche in materia di benefici assistenziali. In particolare, come rende noto l’Inps con il messaggio 16587/2012, l’età minima per avere diritto all’assegno sociale viene elevata di tre mesi e cioè a 65 anni e tre mesi. Alle lavoratrici che si avvalgono della sperimentazione non si applicano i benefici di cui all’articolo 1, comma 40, della legge n. 335 del 1995 ( accrediti figurativi per assenza dal Dal 1?gennaio 2014 occorre il minimo contributivo dei 20 anni (15 in alcuni casi) e l’età di 66 anni e tre mesi per i lavoratori dipendenti e per le donne del settore pubblico. Per le donne dipendenti nel settore privato l’età pensionabile sarà di 63 anni e 9 mesi, per le lavoratrici autonome 64 anni e 9 mesi. lavoro per periodi di assistenza ed educazione dei figli fino al sesto anno di età in ragione di 170 giorni per ciascun figlio, un anticipo di età per la pensione di vecchiaia a prescindere n. 16 del 1?febbraio 2013). Gli assicurati (in prevalenza casalinghe) che possiedono il requisito minimo contributivo di 15 anni prima del 1993 oppure autorizzati ai versamenti volontari entro il 1992 possono ottenere la pensione di vecchiaia al compimento della nuova età pensionabile stabilita dalla manovra Monti. dall’assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell’evento maternità, e così via). Nei confronti delle suddette lavoratrici scattano gli incrementi legati alla speranza di vita 25/1/2012) ha precisato che la decorrenza della pensione di vecchiaia per i soggetti che maturano i requisiti dal 1? gennaio 2012 in poi scatta dal primo giorno del mese successivo a quello della maturazione dell’ultimo requisito, anagrafico o contributivo, a condizione che a tale data si sia verificata la cessazione del rapporto di lavoro dipendente, anche all’estero. contributiva deve derivare esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria. A questi fini, quindi, non vengono considerati i periodi di cassa integrazione straordinaria, i contributi volontari, quelli per il riscatto del corso legale di laurea e i contributi figurativi per disoccupazione indennizzata. le donne. Tale aumento riguarda anche il requisito contributivo previsto per la pensione anticipata (la vecchia pensione di anzianità). il minimo di 20 anni di contribuzione oppure 40 anni di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica.
Incentivi all’uscita pagati dai datori. Il lavoratore anziano può ricevere un importo pari alla pensione fino a 4 anni
C’è uno strumento in più, oggi, per incentivare i lavoratori all’uscita dall’azienda. L’incentivo all’esodo per i dipendenti vicini alla pensione, introdotto dalla legge 92/2012 (articolo 4 commi 1-7), e illustrato dal ministero del Lavoro con le circolari 24/2013 e 33/2013 e dall’Inps con la circolare Inps 119/2013, può essere vantaggioso sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori.
L’incentivo
I lavoratori possono accedere in anticipo alla pensione, beneficiando di un consistente trattamento economico a carico del datore di lavoro. Dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e fino alla data di pensionamento, che deve cadere nei quattro anni successivi (48 mesi), saranno beneficiari, infatti, di due importi mensili: la prestazione di esodo, pari all’importo della pensione idealmente maturata alla data dell’esodo, secondo le regole in vigore, e la contribuzione figurativa accreditata dal datore sul conto previdenziale del lavoratore, che andrà a incrementare la rata di pensione finale. La pensione che maturerà alla scadenza dell’esodo – e che sarà incassata già a partire dal mese immediatamente successivo – sarà calcolata anche in base ai contributi figurativi versati all’Inps dall’azienda durante il periodo di esodo. I datori di lavoro che impiegano mediamente più di 15 dipendenti possono dunque beneficiare senza particolari conflitti interni di una riduzione generalizzata del personale con maggiore anzianità, dirigenti compresi. Ai datori di lavoro compete l’intero onere finanziario per prestazione e contribuzione in favore degli esodati: questo onere deve essere assistito obbligatoriamente da una fideiussione bancaria, così da assicurare il puntuale e totale diritto degli esodandi e da non gravare sulle finanze pubbliche.
Tre tipi di accordo
Il datore di lavoro può trovare un’intesa preliminare con le maggiori sigle sindacali aziendali per operai, impiegati e quadri, o per il personale dirigente, con uno dei sindacati che hanno firmato il Ccnl. Questi due primi tipi di accordi sulla riduzione del personale sono la premessa dell’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore con cui si ha la risoluzione consensuale del contratto di lavoro.
Il terzo tipo di accordo, che dà luogo ad un esodo obbligatorio, è inserito nella procedura di licenziamento collettivo con le regole della mobilità, in base agli articoli 4 e 24 della legge 223/91. Questa procedura sarà portata avanti secondo il suo iter naturale, con l’unica differenza che il dipendente licenziato – invece di beneficiare del trattamento di mobilità – , si vedrà corrisposti i vantaggi economici previsti dalla legge 92/2012 come incentivo all’esodo (prestazione di esodo e contribuzione figurativa).
La prestazione
La prestazione all’esodo è uguale al trattamento di pensione ipoteticamente maturato dal lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro. Questo importo è determinato secondo le regole in vigore al momento dell’incasso della prestazione mensile. Il pagamento avviene con la procedura di pagamento delle pensioni per 13 mensilità, in rate mensili anticipate, la cui esigibilità è fissata al primo giorno bancabile di ciascun mese.
La normativa pensionistica è quella fissata dalla legge 214/2011 (di conversione del Dl 201/2011) che distingue la pensione di vecchiaia dalla pensione anticipata. Quest’ultima è concessa – conseguiti i requisiti contributivi – al maturare di 62 anni di età. Il lavoratore può andare in pensione anche prima dei 62 anni, con una riduzione della pensione che dipende da quanti anni è più bassa la sua età anagrafica. Questa regola si applica anche al calcolo della prestazione per gli esodati.
Se un “esodato”, ad esempio, ha 59 anni e mancano tre anni al compimento dei 62, si vedrà accreditare una prestazione ridotta, rispetto a quella teorica, del 4% (1% per il primo anno, 1% per il secondo, e 2% per il terzo).
Se, invece, alla data di decorrenza della prestazione il lavoratore ha compiuto 62 anni, la riduzione non sarà applicata. La prestazione, non essendo una pensione, non beneficia della perequazione automatica, né dei trattamenti di famiglia (assegno al nucleo familiare). Non può essere assoggettata a prelievo per pagamento di oneri, come la rata di cessione del quinto o di mutuo. L’Inps verifica se l’azienda occupa più di 15 dipendenti e se coloro che sono coinvolti nell’accordo maturano effettivamente i requisiti minimi di pensione entro i quattro anni successivi. In caso di accordo stipulato in base alla legge sulla mobilità, se uno o alcuni dipendenti candidati all’esodo non hanno i requisiti pensionistici, in teoria, a meno che non siano previste clausole specifiche su questo punto, l’accordo dovrebbe decadere per tutti i lavoratori. Per ovviare a questa criticità, le parti devono prevedere una clausola in base alla quale l’accordo sull’esodo resta valido anche se il requisito della pensionabilità è verificato soltanto per una parte dei lavoratori (circolari del ministero del Lavoro 24 e 33 del 2013) L’accordo, convalidato dall’Inps, serve in primo luogo al datore di lavoro per predisporre e inviare inizialmente all’Istituto un piano di esodo annuale, che è aggiornato di anno in anno. È l’elenco di quanti, all’interno della più vasta platea degli “esodandi”, usciranno dall’azienda entro il primo dicembre del primo anno, giorno nel quale viene pagata l’ultima prestazione di dicembre. Il piano permette all’Inps di predisporre un «prospetto di quantificazione» degli oneri a carico del datore di lavoro L’accordo convalidato e il prospetto di quantificazione degli oneri a carico del datore di lavoro sono elementi essenziali per redigere il testo della fideiussione. L’accordo convalidato dall’Inps e inviato dall’Istituto alla banca permette a quest’ultima di acquisire la certezza che ogni singolo dipendente elencato nella lista degli esodandi ha l’effettivo diritto all’esodo (raggiungimento dei requisiti minimi di pensione nell’arco di quattro anni). Il prospetto di quantificazione riporta la stima dell’importo massimo della garanzia fideiussoria, che è una clausola obbligatoria e che deve provenire dall’Inps Dal testo di fideiussione allegato alla circolare Inps 119/2013 si riscontra che l’impegno della banca, su due punti specifici, appare sottoposto a limiti. Uno è il limite massimo di impegno: la banca rilascia la fideiussione in favore dell’Inps per un importo massimo garantito (Img) corrispondente alla somma degli obblighi dell’impresa per prestazioni e contributi figurativi relativi all’intero programma di esodo. Questo importo può essere corretto in più o in meno fino a una percentuale massima del 15%. È invalicabile anche il limite temporale della fideiussione, che non può oltrepassare la scadenza di sei mesi successivi alla conclusione del programma di esodo
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Il Sole 24 Ore – 7 ottobre 2013