Si parla spesso di imminente uscita dalla crisi economica che attanaglia l’Italia, e di primi segnali in tal senso. Peccato che l’industria alimentare, secondo settore manifatturiero del paese, non intercetti nessuno di questi segnali. I dati dei principali parametri economici coprono il primo semestre dell’anno, mentre per la produzione alimentare essi fanno meglio e arrivano a luglio. Andiamo per ordine. La produzione alimentare, che aveva chiuso il confronto 2012/2011 con un calo dello 0,6% su indici grezzi e un -0,9% a parità di giornate lavorative, sul gennaio-luglio 2013 registra, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, un -1,0% su dati grezzi e un -0,9% a parità di giornate. Non è cambiato nulla, quindi, anzi è peggiorato qualcosa.
Fra i grandi comparti, se si guarda ai dati grezzi, si scopre che solo il dolciario, la pasta, la trasformazione delle carni, lo zucchero e i mangimi per animali hanno registrato segni positivi. Su gennaio luglio i «prodotti da forno» sono saliti infatti del 6,7%, il «cioccolatiero» del 2,2%, la «pasta» del 2,4%, la «trasformazione delle carni» dell’1,8%, lo «zucchero» del 7,9% e l’« alimentazione animale» dell’1,6%. Stop. Poi comincia il rosario dei segni negativi: «lavorazione degli ortaggi» (-2,8%), «ittico» (-4,6%), «molitorio» (-1,9%), «oleario» (-7,9%), «lattiero-caseario» (-3,5%), «vino da uva non autoprodotta» (-4,5%), «bibite e acque minerali» (-6,6 per cento). C’è una chicca fra i segni negativi: i «piatti preparati», che crollano del 17,3% rispetto al gennaio-luglio 2012. Il comparto è minore, ma il segnale è importante: i prodotti a più alto contenuto di servizio, e quindi di prezzo più elevato, che negli anni erano cresciuti con tassi a due cifre, scendono precipitosamente. Il fenomeno ci porta alla crisi del mercato, alla scarsa capacità di acquisto delle famiglie, evidenziata dai dati delle vendite. Queste, nel 2012, avevano chiuso con variazioni oscillanti intorno alla parità (+0,2% su indici grezzi e -0,4% si dati destagionalizzati).
Mentre, nel 1? semestre, arretrano vistosamente, con cali, rispettivamente, dell’1,9% e dell’1,6% su dati destagionalizzati. Se si considera che le variazioni sono espresse su valori correnti, è facile stimare, in base all’andamento parallelo dei prezzi alimentari al consumo, un calo del fatturato in valuta costante delle vendite 2013 oltre i 4 punti percentuali, doppio rispetto a quello accusato nel 2012. Il piombo del settore è questo. Ed è un piombo che, invece di alleggerirsi, si è appesantito ancora di più e che, purtroppo, non è controbilanciato a sufficienza dall’andamento delle esportazioni. Queste, dopo gli aumenti di circa il 10% del biennio 2010-11, erano scese nel 2012 su un tasso del 6,9%.
Le aspettative (o meglio le speranze, a questo punto) indicavano nel 2013 un riavvicinamento verso i tassi a due cifre precedenti. Invece, dopo i buoni spunti di inizio anno, il trend dell’export alimentare ha perso velocità e nel 1? semestre, con un +7,2%, si è avvicinato a quello del 2012. Fra i comparti di maggiore peso, tirano discretamente, ovvero con tassi superiori alla media, solo l’oleario (+13,4%), la trasformazione degli ortaggi (+9,6%) e l’enologico (+8,4%).
Non mancano altri segni positivi, anche vistosi, ma di peso modesto nella torta dell’export, come quelli dello zucchero (+55,1%), dell’alimentazione animale (+41,8%), delle acque minerali e gassose (+11,9%), dell’ittico (+9,6%) e delle acquaviti e liquori (+9,4%). Deludono, invece, le variazioni esigue di comparti di grande rilievo, come il dolciario (+3,5%), il lattierocaseario (+2,7%), le carni preparate (+2,7%). Addirittura in discesa si pone la trasformazione della frutta (-4,6%). Variazioni positive, infine, ma comunque inferiori alla media di comparto, evidenziano il riso (+5,9%), la pasta (+4,6%) e il caffè (+5,4%). Insomma, al giro di boa di metà anno, il quadro congiunturale offerto dal settore non è migliorato. Anzi, è peggiorato in modo sensibile sul fronte del mercato interno, e ha confermato i trend 2012 sui fronti della produzione e dell’export.
Delude e preoccupa, soprattutto, l’aggravamento delle vendite interne. Dopo quattro anni di pesante recessione, era lecito aspettarsi che questa potesse concedersi, finalmente, una pausa. Non è stato così, invece: la crisi morde ancora. Le conclusioni sono due. La diffusione di notizie circa imminenti segnali di svolta appare giocata essenzialmente su fattori psicologici, non reali. Mentre il rischio imminente di un appesantimento, seppur selettivo, dell’Iva sul settore alimentare appare intollerabile, soprattutto per le fasce di reddito più basse, per le quali l’incidenza delle spese alimentari è molto più alta rispetto alla media. Sarebbe davvero come ridurre l’ossigeno a un malato la cui condizione è in progressivo peggioramento
Agrisole – 3 ottobre 2013