Padova finisce nella «black list» del procuratore aggiunto Raffaele Guariniello. Nei laboratori del Servizio igiene degli alimenti e della nutrizione dell’Ulss 16 di via Ospedale ci sono i frutti di bosco surgelati dell’azienda padovana finita nell’inchiesta della Procura di Torino che indaga su casi di epatite A. I controlli hanno riguardato la Asiago Food di via Santa Maria 7 a Veggiano. L’ordine di acquisire i campioni dei prodotti surgelati è arrivato dalla Procura di Torino e dal ministero della Salute. Si tratterebbe di frutti di bosco provenienti da alcuni paesi dell’Est e surgelati in Italia. Sono dieci le aziende alimentari italiane coinvolte nello scandalo dei frutti di bosco che trasmettono il virus dell’epatite A.
Il virus è stato rintracciato nelle loro confezioni di frutti di bosco surgelati a seguito delle analisi fatte eseguire dalla procura di Torino su campioni prelevati in negozi e supermercati del torinese dopo l’allerta diramata nelle settimane scorse dal ministero della Salute.
Il pm Raffaele Guariniello procede per il reato di commercializzazione di prodotti di alimentari pericolosi. I frutti di bosco congelati provengono da Serbia, Ucraina, Bulgaria, Polonia, Romania e dal Canada e sono stati confezionati in aziende di Padova, Pavia, Ferrara, Parma e Cuneo. La procura sta identificando i responsabili che saranno iscritti sul registro degli indagati.
In Piemonte al 31 luglio i casi registrati sono stati 65, più del doppio rispetto ai 33 di tutto il 2012. Otto, hanno accertato i consulenti del magistrato, hanno colpito persone che avevano mangiato i frutti di bosco. Secondo il ministero della Salute i casi registrati in Italia al 31 luglio 2013 sono 502, con un aumento annuo del 70%, addirittura del 264% rispetto alla media degli ultimi tre anni.
Secondo gli esperti dell’Unione europea l’impennata dei casi dipende dall’uso di acqua non potabile durante il lavaggio dei frutti di bosco prima del confezionamento.
L’allarme era partito qualche settimana fa dal Ministero della salute, preoccupato per l’aumento dei casi di epatite A in Italia nel 2013: ben 502 segnalazioni, di cui 382 tra maggio e luglio e 42 soltanto in Veneto.
Un’escalation del 70% rispetto al 2012 e addirittura del 264% rispetto alla media degli ultimi tre anni, partita nei paesi del Nord Europa e legata soprattutto al consumo dei frutti di bosco surgelati e importati dall’estero, ritenuti responsabili del virus nel 35% dei casi registrati. Per questo, poco prima di Ferragosto, la Procura di Torino aveva avviato un’indagine a campione su more, mirtilli, fragole, lamponi e ribes prelevati dai banchi frigo di negozi e supermercati di mezza Italia.
E adesso, Padova finisce nella «black list» del procuratore aggiunto Raffaele Guariniello. I risultati delle analisi di laboratorio parlano infatti di dieci aziende «sospette», operative in cinque città settentrionali: oltre a Padova ci sono Cuneo, Ferrara, Parma e Pavia. Il pm piemontese è pronto a disporre l’identificazione dei responsabili, e ad inserirli nel registro degli indagati con l’accusa di aver messo in commercio alimenti pericolosi.
La tesi del magistrato è che le aziende in questione abbiano «lavorato» frutti di bosco provenienti dall’Est Europa (in particolare da Serbia, Bulgaria, Romania, Ucraina e Polonia) e dal Canada: il rischio è che nei paesi d’origine i prodotti siano stati lavati con acqua non potabile, e abbiano dunque incubato il virus che si è poi diffuso in Italia, con uno degli epicentri localizzato proprio in provincia di Padova.
Sul caso interviene Coldiretti Veneto, che invoca la «priorità alla tutela della salute dei consumatori» e ricorda le regole fondamentali per un acquisto critico: «Bisogna fare attenzione all’etichetta, all’origine e privilegiare i prodotti freschi acquistati direttamente dal produttore», si legge nella nota diffusa ieri dall’associazione di rappresentanza degli agricoltori veneti. Che dopo il «caso» padovano difende la categoria, e si dissocia dalle aziende che si comportano slealmente: «Sono tanti i coltivatori che mettono impegno e serietà nel loro lavoro per garantire salubrità e qualità nel rispetto delle regole, che devono valere per tutti, soprattutto quando è in gioco la sanità pubblica. Il rischio è l’ennesima pandemia, di cui l’agricoltura italiana non ha certo bisogno. L’importazione è un fenomeno diffuso ma non riguarda gli agricoltori, che producono a chilometro zero e sono i primi danneggiati: noi sosteniamo la filiera corta per diffondere un rapporto di fiducia col consumatore Dobbiamo fare i conti con i prosciutti olandesi, il latte romeno, i cetrioli tedeschi, eppure abbiamo la miglior produzione e standard elevati di qualità: perché un piccolo produttore dovrebbe avere interessi ad importare?».
Molti prodotti che finiscono sulle tavole dei padovani passano attraverso il Mapp, il mercato agroalimentare padovano in corso Stati Uniti, una delle porte «privilegiate» con l’Est Europa per antonomasia. Ma Franco Frigo, europarlamentare e presidente Maap, getta acqua sul fuoco: «I nostri grossisti esportano verso l’est, ed importano soprattutto dal sud Italia e dalla Spagna, oltre che da Sudafrica e Sudamerica per i frutti esotici, e dall’Egitto prima degli ultimi disordini – afferma -. Inoltre i frutti di bosco rappresentano un mercato marginale per i nostri operatori: solo un paio di loro si concentrano su questo tipo di prodotti, che hanno un costo alto, richiedono molta manodopera e di solito seguono canali commerciali particolari, che approdano ad esempio negli alberghi. Non posso escludere nulla, ma mi sembra strano che i grossisti del Maap possano essere coinvolti: in ogni caso faremo tutte le verifiche del caso, con una serie di controlli a campione».
Sole 24 Ore, il Gazzettino e Corriere del Veneto – 20 agosto 2013