Il quesito di un dirigente del Ssn agli esperti del Sole 24 Ore sanità riporta al centro dell’attenzione la recente sentenza del Tar del Lazio, 2446 del 2013, che ha stabilito che la riforma previdenziale non può essere utilizzata nella Pa per mandare in pensione di vecchiaia coloro che hanno raggiunto i 65 anni di età, annullando parte della circolare 2 del 2012 della Funzione pubblica. «Sono un medico ospedaliero, ho letto un articolo da voi pubblicato da cui si evince che una sentenza del Tar Lazio consente ai dipendenti, che avessero già raggiunto i requisiti per andare in pensione entro il 2011, di essere mantenuti in servizio sino ai nuovi limiti di età previsti per il pensionamento di vecchiaia dalla riforma Monti-Fornero, anziché essere posti in pensione al maturare dei 65 anni come indicato dalla circolare 2/2012 della Funzione pubblica. Si desidera conoscere quali sono i limiti di età previsti dalle nuove disposizioni previdenziali».
La sentenza del Tar Lazio, da noi riportata, respinge l’interpretazione alla legge Monti-Fornero, fatta dalla circolare n. 2/2012 della Funzione pubblica, nella parte che imponeva l’interruzione del rapporto d’impiego al raggiungimento del 65° anno di età per coloro che avessero maturato, entro il 2011, i requisiti di pensionamento previsti dalle precedenti disposizioni legislative. Ci sembra opportuno, comunque, rilevare che, per i pubblici dipendenti, oltre all’infondata interpretazione della Fp, cassata dal Tar del Lazio, permane un altro aspetto cruciale e forse paradossale della riforma che, mentre da una parte allontana l’età del pensionamento, dall’altra nega di rimanere più a lungo in servizio quando ciò possa voler dire un miglioramento dell’assegno di pensione.
Infatti, la riforma non ha modificato il regime dei limiti di età per la permanenza in servizio dei pubblici dipendenti che, anzi, è stato espressamente confermato (comma 4 dell’articolo 24). Ciò vuol dire che i predetti limiti continuano a costituire il tetto massimo di permanenza in servizio. Il dipendente che li dovesse raggiungere potrà proseguire il rapporto d’impiego solo fino a garantirsi la decorrenza della pensione.
Il dipendente in possesso del diritto alla pensione, una volta raggiunto il limite d’età, vedrà la Pa intimargli la cessazione dall’impiego, fatta salva la possibilità di richiedere di rimanere in servizio per un ulteriore biennio ovvero, nel caso dei dirigenti medici, sino a 70 anni, per poter raggiungere il massimo del periodo contributivo di 40 anni.
Il nuovo limite d’età previsto per il pensionamento di vecchiaia era nel 2012, per i dipendenti pubblici, di 66 anni. Esso si accresce, nel tempo, sulla base della così detta “speranza di vita”. Tale accrescimento indica per gli anni 2013-14-15: 66 anni e 3 mesi: per il 2015-17-18: 66 anni e 7 mesi; per il 2019 e 2020: 66 anni e 11 mesi; per il 2021 e 2022: 67 anni e 2 mesi, per giungere così, progressivamente, a 70 anni nel 2051.
(Claudio Testuzza) Il Sole 24 Sanità – 13 luglio 2013