Ufficiali i numeri dei posti letto ma le interpretazioni sono discordi Coletto: «Critiche incompetenti». Una firma, una foto di gruppo e giù strette di mano. Finalmente, dopo 17 anni di attesa, le schede ospedaliere – un documento di 270 pagine sulla base del quale saranno riorganizzate tutte le strutture sanitarie pubbliche e private – sono state consegnate ai direttori generali delle ventuno Usl venete e delle aziende ospedaliere di Padova e Verona. Il piano destinato a rifondare la sanità veneta dunque può essere considerato realtà perché già da domani, prima ancora che la riforma arrivi alla fine del suo percorso – che prevede un ultimo passaggio in commissione sanità – i vertici delle Usl inizieranno a mettere in pratica i cambiamenti che coinvolgono le loro strutture di riferimento.
Come siano queste modifiche poi, lo spiegheranno nel dettaglio stamattina i direttori generali nelle rispettive sedi che però già ieri hanno anticipato la loro soddisfazione per il lavoro fatto dal governatore Luca Zaia e dall’assessore alla Sanità Luca Coletto. «Si tratta di una rivoluzione», hanno detto in coro. E anche se qualcuno ha voluto ricordare che i ventitrè signori della sanità veneta difficilmente avrebbero potuto protestare visto che sono stati nominati a novembre dalla coppia Zaia-Coletto, va detto che il plauso alla riforma è stato ampiamente motivato. I vertici dei distretti infatti non sembrano preoccupati per la sparizione di 1200 letti negli ospedali e la ricostituzione di altrettanti posti nei cosidetti ospedali di comunità, cioé le nuove strutture territoriali destinate alle lungodegenze e alle patologie croniche degli anziani. «I letti non possono più essere un parametro di riferimento per l’efficenza della sanità – spiega Domenico Scibetta, direttore sanitario della Usl 16 di Padova -. Nel 1990 per un’operazione alla cistifellea ci volevano circa quindici giorni di ricovero, oggi, si fa in day surgery: un giorno e il paziente è fuori». La pioggia di critiche di ieri dunque sarebbe priva di fondamenti, come sottolineano sia Zaia («C’è troppa gente che parla senza sapere nulla») che Coletto («Prima c’erano critiche a caso per presunti tagli che non abbiamo mai avuto intenzione di fare, poi, adesso le critiche sono perché abbiamo tagliato poco»).
Resta il fatto però che nelle schede non ci sono ancora indicazioni precise sulla collocazione dei nuovi posti letto negli ospedali di comunità. «Al momento l’unica cosa concreta sono i tagli», aggiunge la Cgil a cui fa eco il parlamentare dell’Udc Antonio De Poli: «Zaia è il solito venditore di sogni, taglia prima di fare nuovi posti». «Le schede sanitarie vanno lette in maniera integrata – interviene il dg della Usl 12 di Venezia Giuseppe Dal Ben – Qui non siamo di fronte a tagli, ma a una straordinaria opportunità di rendere concreti i servizi». Anche il fatto che i privati abbiano subito minori tagli rispetto al pubblico (150 letti su 1200) non è un fatto casuale. «È stata una scelta dettata dal buon senso – spiega il segretario generale della Sanità Domenico Mantoan – In questo momento di crisi occupazionale non si possono licenziare medici e infermieri: sarebbe un disastro».
Comunque sia, a palazzo Ferro Fini i consiglieri si preparano a dare battaglia in commissione sanità. «Studieremo le schede una per una e valuteremo le conseguenze per ogni territorio», chiosa Antonino Pipitone dell’Idv. Zaia e Coletto si sono già detti pronti ad accogliere eventuali «piccoli aggiustamenti di percorso», sperando che l’intervento del consiglio non mandi di nuovo in scena la guerra del piano sociosanitario che, approvato dopo un mese di rimpalli, è stato bloccato dalla Corte costituzionale per un vizio di forma e a un anno di distanza è ancora fermo. «Come presidente della commissione sanità porterò in consiglio tutte le osservazioni dei cittadini», conclude Leonardo Padrin che ieri, sul suo sito internet (www.leonardopadrin.com) ha pubblicato le schede ospedale per ospedale e ha invitato i veneti «a scrivere le osservazioni che vogliono inviare, purché siano sintetiche e concrete». E magari tenendo presente che la società, negli anni, è cambiata. Come ricorda anche l’assessore al Bilancio Roberto Ciambetti convinto che «la salute non ha prezzo, ma la sanità ha un costo. Nonostante le spending review però in Veneto siamo riusciti a limitare i danni». (Corriere del Veneto)
Prossima tappa: dimezzare le Ulss venete
di Filippo Tosatto. «Eccole le schede ospedaliere, quelle vere, non la spazzatura che hanno propinato finora, inscenando manifestazioni di protesta sul nulla». Nell’aula municipale-sauna di San Vendemiano, la sua roccaforte trevigiana, il governatore Luca Zaia distribuisce pani e pesci della riforma sanitaria in versione veneta. Al suo fianco, l’assessore Luca Coletto chiosa: «Prima ci hanno accusato di demolire la sanità, adesso di non aver tagliato abbastanza, mi sa che siamo sulla strada giusta». L’occasione è la consegna del documento ai 23 direttori generali di Ulss e Aziende chiamati a conciliare rigore finanziario e maggiore efficienza.
Sullo sfondo, ma non troppo, il top manager Domenico Mantoan, l’artefice tecnico di una manovra che ambisce a ridisegnare il welfare. I capisaldi, dettati dal Piano socio-sanitario approvato un anno fa, sono noti: riduzione dei posti letto riservati ai malati acuti (-1227) e incremento di quelli destinati a riabilitazione e lungodegenza (+1263); gerarchia delle cure articolata su due “hub” di rilievo nazionale (Padova e Verona), cinque presìdi di capoluogo e una quarantina di poli ospedalieri di comunità; rete di medici di base – almeno 2 mila sui 3500 in servizio – impegnati a garantire un’assistenza h 24 sette giorni su sette. L’obiettivo è cogliere due piccioni con una fava: snellire la spesa (la degenza ospedaliera “tradizionale” costa circa 500 euro al giorno a fronte dei 150 di quella “comunitaria”) e alleggerire la pressione sugli hub e i pronti soccorso “spalmando” sul territorio i flussi.
In che modo? Concentrando le urgenze chirurgiche (con relative risorse umane e tecnologiche) in due-tre ospedali per ogni provincia, minimizzando i tempi di ricovero e privilegiando la fase di riabilitazione-lungodegenza nelle strutture più vicine alla residenza del paziente.
Ancora, a fronte di aumento dei primari (da 727 a 754, con le nuove nomine concentrate negli ospedali di comunità) si assiste a un parziale accorpamento di reparti, preludio alla futura riduzione delle Ulss: il disegno che trapela dal riordino dei laboratori di analisi, anatomia patologica e centri trasfusionali (i “polmoni” del sistema) è quello di dimezzarle, fondendo le aziende limitrofe – per abbattere costi di gestione e oneri burocratici – così da limitarne il numero ad un paio per provincia.
Tant’è, ora si apre la fase del confronto, prima in commissione e poi in aula. La giunta si dice disponibile ad accogliere «proposte migliorative» (ma la dizione è quanto mai soggettiva… ), Lega e Pdl plaudono, l’opposizione scalpita. «Zaia è il solito venditore di sogni, confonde la propaganda con la realtà», punge Antonio De Poli dell’Udc; «L’impressione è che ci sia tanto fumo ma che l’arrosto sia sempre lo stesso», rincara Antonino Pipitone dell’Idv, medico-diabetologo «gli ospedali di comunità, colonna portante del piano, dove sono? Quando saranno pronti? In sanità bisogna prima predisporre le strutture, poi fissarne le funzioni. Qui si è fatto il contrario, da manuale del perfetto annuncio in politica».
Critica anche la Cgil che condivide l’obiettivo di trasferire risorse dall’ospedale al territorio ma contesta l’esecutivo sul piano della concretezza: «L’unica certezza che traspare dalle schede, dopo un anno di attesa, è il taglio dei posti letto per acuti che dovrebbe essere bilanciato dai nuovi ospedali di comunità. Peccato che non emerga alcuna indicazione sulla loro dislocazione né sui tempi della realizzazione, tantomeno è chiaro quali saranno le strutture soggette a riconversione e chi sarà demandata la gestione della nuova organizzazione territoriale». (Il Mattino di Padova)