Lo scandalo della carne di cavallo si è allargato a macchia d’olio in pochissimi giorni, diventando un vero e proprio caso internazionale. Partito dalle lasagne surgelate Findus distribuite in Inghilterra è passato per altri 13 paesi europei con il ritiro delle polpette dell’Ikea ed è arrivato anche in Italia con il sequestro dei tortellini Buitoni. Un avvenimento che ha riportato alle luci della ribalta l’importanza dei controlli sui prodotti alimentari e della normativa comunitaria sulla contraffazione agroalimentare e sul «labelling» ossia tutto quello che a che fare con l’etichettatura degli alimenti. AvvocatiOggi ha chiesto ad alcuni dei maggiori esperti di proprietà intellettuale cosa ne pensano di quanto sta accadendo, quali saranno gli effetti sulle attuali tutele per i consumatori e come gli stessi possono difendersi.
La normativa europea è sicuramente efficiente, e ne è dimostrazione il fatto stesso che questi eventi vengano a galla, tutti gli avvocati intervistati sono però d’accordo sul fatto che un giro di vite sia a questo punto necessario. Un quadro generale della questione ci viene fornito da Giorgio Rusconi partner dello Studio Mondini Rusconi e promotore di Food Lawyer Network: «Il caso dei prodotti alimentari con la denominazione in etichetta «lasagne di carne di manzo» contenenti, in percentuali superiori al sessanta per cento, carni equine sta avendo vasta eco nel Regno Unito, sia perché segue a poca distanza di tempo il ritiro dal mercato di una rilevante partita di hamburger irlandesi destinati all’Inghilterra costituiti anch’essi da carne di cavallo, sia in quanto per gli inglesi, amanti dei cavalli, mangiare carne di puledro è assolutamente un tabù; tanto che la Gran Bretagna rimane l’unico paese comunitario ove non esistono macellerie equine. Al di là del forte impatto sia mediatico sia sui consumi ed oltre alle indagini dirette ad accertare le responsabilità della frode e alle controversie giudiziarie dirette al risarcimento dei danni, è prevedibile che una delle conseguenze dello scandalo sia l’introduzione di estendere l’obbligo in etichetta della provenienza di tutti i tipi di carne destinati al consumo umano. Attualmente, infatti, in Europa e dopo l’emergenza mucca pazza del 2001, l’obbligo di indicare la provenienza sussiste per la carne bovina, ma non per altri tipi di carne tra cui il cavallo».
Anche Bernard O’Connor, partner e responsabile dell’area Food & Drink di Nctm studio legale, ha chiarito i punti fondamentali della vicenda, in primis la frode e i pericoli connessi al consumo di carne non adeguatamente controllata: «In questo scandalo vanno considerati elementi diversi. Tra questi è possibile rintracciare la frode (essendo indicata nell’etichetta carne bovina e non di cavallo), che è già di per sé illegale; la pressione esercitata da supermercati e commercianti tesa alla riduzione dei costi; le non sufficienti risorse per rendere i controlli tempestivi e, infine, una legge sull’etichettatura non ancora adeguata. Il modo più semplice per far fronte a tali mancanze è quello di modificare la legge e imporre l’etichettatura delle carni bovine, anche quando si tratta soltanto di un ingrediente. Per quanto riguarda il cavallo è importante sapere che la sua carne contiene sostanze chimiche, come il farmaco anti-infiammatorio Fenilbutazone e Nitrofurazone, unguenti per le ferite il cui uso è vietato dall’Unione Europea per tutti gli animali destinati al macello. Mentre per le carni bovine il problema potrebbe essere quello dell’abbassamento degli standard richiesti nei macelli».
A seguito di questo caso, a livello comunitario si sta dibattendo dell’opportunità di prevedere un obbligo di effettuare test del Dna a campione sui prodotti di carne bovina, attraverso i quali soltanto risulterebbe possibile identificare con certezza le caratteristiche delle carni lavorate.
Eva Callegari ed Elena Martini, co-fondatrici di Callegari Martini Avvocati, studio specializzato in Ip, evidenziano quali sarebbero gli elementi di novità da introdurre in questo discorso: «Al di là del ricorso al test del Dna, già esiste una responsabilità diretta delle aziende agroalimentari in relazione alla sicurezza e genuinità dei prodotti, con obblighi di registrare le attività svolte e controllare la filiera delle materie prime utilizzate. Il caso dei giorni scorsi ha suggerito altresì di valutare se non introdurre a livello comunitario un obbligo di etichettatura sulla provenienza di tutti i tipi di carni introdotte sul mercato, anche in forma rielaborata. Quest’obbligo è stato introdotto per la carne bovina già nel 2001, quando si scatenò il problema della mucca pazza, ma non riguarderebbe ad oggi altri tipi di carni, quali la carne di coniglio, maiale, pollo, asino e cavallo. Indubbiamente, il problema andrebbe affrontato su un piano non solo comunitario, dove il livello di attenzione e regolamentazione è già alto, ma a livello internazionale. Più che eliminare per un certo periodo un determinato alimento dalle tavole, perché oggetto di un caso di contraffazione alimentare clamoroso, potrebbe tuttavia essere forse più consigliabile adottare comportamenti di acquisto che premino costantemente quei prodotti dove la tracciabilità delle materie prime utilizzate appaia più trasparente».
In molti casi si tratta soprattutto di un problema di tracciabilità degli alimenti, come ricorda Antonio Bana dello studio legale Bana: «Il principio di tracciabilità riveste particolare importanza, inteso quale obbligo di adoperare sistemi e procedure che consentano agli operatori del settore alimentare di individuare, da un lato, chi abbia fornito loro alimenti, mangimi, animali o sostanze destinati alla produzione alimentare e, dall’altro lato, a quali imprese abbiano a loro volta fornito i loro prodotti. In questo modo, le autorità competenti sono messe nella condizione di ricostruire e seguire il percorso dell’alimento attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. Bisogna distinguere due tipi di tracciabilità: quella interna che si riferisce al della trasformazione svolta da ciascuna azienda sui propri prodotti, e quella di filiera, intesa nel processo internazionale come il risultato dei processi di tracciabilità interni a ciascun operatore della filiera uniti da efficienti flussi di comunicazione ».
Quando avvengono fatti come quello della carne equina ritrovata nelle lasagne, infondere tranquillità è la prima cosa da fare anche per verificare esattamente la portata della frode alimentare e le sue eventuali conseguenze tossiche. L’avvocato Bana ha raccontato un caso di cui si è occupato: «Era nel maggio del 2003, quando una sostanza diffusamente utilizzata per tingere gli alimenti (il peperoncino colorato «Sudan rosso 1», proveniente dall’India) è risultato essere cancerogeno e tossico. Tale sostanza è stata ovviamente bandita da tutti i Paesi europei, ma nel frattempo aveva coinvolto a loro insaputa multinazionali come Cirio, Kraft, Barilla e Star. In questo caso, il sistema di allarme rapido della Commissione Europea ha imposto agli Stati membri di vietare l’importazione di pigmenti di peperoncino rosso del genere Capsicum, se destinati al consumo umano. A seguito di un primissimo controllo sulla propria produzione e sull’origine dei componenti dell’alimento, le aziende dovrebbero preventivamente ritirare dal commercio il prodotto sospetto, al fine di svolgere senza rischi ulteriori accertamenti e analisi, al termine dei quali viene normalmente diffuso un comunicato a tutti i consumatori per non creare allarmi ingiustificati. La massima responsabilità e trasparenza sull’operato del produttore è alla base delle prime misure da intraprendere».
Anche Riccardo Bianchini Riccardi e Alessandro Greco dello Studio Eversheds Bianchini hanno reso pubblica una loro esperienza professionale nel campo del diritto agroalimentare: «Abbiamo lavorato su casi di «incidenti» in catena di montaggio, quali, ad esempio, il rinvenimento di un corpo estraneo in una confezione alimentare. Incidenti possono accadere e in casi del genere bisogna rassicurare i consumatori sull’eccezionalità dell’evento e svolgere (e far svolgere a terzi indipendenti) accurate verifiche della filiera e della linea di produzione per evitare il ripetersi dell’evento. Accurate campagne di marketing tese a restaura- re l’autorità e garanzia di affidabilità del marchio in questione fanno il resto».
Importante anche il ruolo svolto ai consumatori e dalle loro associazioni, sempre secondo i due legali di Eversheds Bianchini: «Nell’ambito della strategia comunitaria in materia di sicurezza alimentare è stato riconosciuto un ruolo di partecipazione e vigilanza attiva ai consumatori. Tale previsione riguarda anche le istituzioni e gli operatori alimentari, i quali devono concorrere a garantire tale ruolo attraverso un adeguato livello di informazione dei consumatori e delle associazioni di categoria. La disciplina generale in vigore è, almeno in linea teorica, alquanto stringente. In ogni caso, può verificarsi l’ipotesi che operatori di settore adottino dei Codici di autoregolamentazione (tra i tanti, basti pensare alla nuova edizione del Codice di Autodisciplina per i prodotti della gelateria industriale adottata dall’Istituto del gelato italiano nel 2009)».
LA COMMISSIONE UE È ANCORA RESTIA
Tracciabilità lontana
La Commissione Ue «continua a essere restia» sull’indicazione d’origine e sulla tracciabilità, che dovrebbero invece essere gli «asset» della sua politica agroalimentare. Così si è espresso il ministro dell’agricoltura Mario Catania dopo il Consiglio Ue dove il 26 febbraio si è discusso della questione carne di cavallo. « È un tema che non può essere affrontato solo a seguito di emergenze, ma dobbiamo metterci in testa che deve diventare un asset fondamentale nella politica agroalimentare Ue». Le norme su origine e tracciabilità della carne devono diventare un «elemento portante» delle politiche agroalimentari europee, e non essere introdotte solo per rimediare a un problema specifico che sorge improvvisamente. Per esempio come è stato fatto finora con il caso della mucca pazza, in seguito a cui è stata introdotta la normativa solo per le carni bovine, oppure come sta accadendo attualmente con lo scandalo delle carni equine, per cui si sta pensando di introdurre norme sulla tracciabilità e l’origine per i trasformati. Su questo tema «alcuni paesi che in passato facevano resistenza chiedono ora anche loro di introdurre» la tracciabilità, in particolare la Germania, ma, ha riferito il ministro, «ho registrato anche negativamente l’approccio molto di resistenza da parte del commissario Ue Borg, che ha messo in avanti solo perplessità e controindicazioni».
ItaliaOggi – 12 marzo 2013 – © Riproduzione riservata