L’entusiasmo è durato due mesi: lo scorso 18 settembre il consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità la legge che consentiva ai malati di curarsi con farmaci derivati dalla cannabis, la pianta da cui si ricavano anche delle droghe. Ieri il Consiglio dei ministri presieduto da Mario Monti ha messo lo stop: quella legge è in contrasto con la Costituzione, la sanità è competenza esclusiva dello Stato, ergo la legge viene impugnata e portata all’esame della Consulta. Analoga sorte è toccata alla legge che, sempre a Palazzo Ferro Fini, esattamente il giorno dopo l’approvazione della normativa sulla cannabis, aveva “allargato” la maggioranza, visto che il Pd aveva votato compatto con Lega e Pdl approvando la normativa che faceva resuscitare le Comunità montane col nuovo nome di Unioni montane.
Gli altri gruppi di opposizione avevano tuonato contro la decisione di tenere in piedi dei «carrozzoni». E adesso potranno apprezzare il Governo dei tecnici: legge impugnata, sarà la Corte costituzionale a vagliare la legge.
Per quanto riguarda la normativa sull’uso di farmaci derivati da cannabinoidi, un altolà era arrivato già in estate dopo che il testo era stato licenziato dalla commissione consiliare: Giovanni Serpelloni, già direttore dell’Osservatorio dipendenze del Veneto e ora capo del dipartimento Politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri, aveva detto che il provvedimento della Regione Veneto per l’uso terapeutico della cannabis era «pericoloso» e «incostituzionale», dal momento che si prevedeva un centro di produzione di farmaci, mentre le autorizzazioni di questo tipo possono essere concesse solo dal ministero e dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), non dalla Regione.
Lo stop preventivo di Serpelloni era stato letto a Palazzo Ferro Fini come una “intimidazione”, soltanto l’assessore Elena Donazzan (Pdl) aveva difeso il funzionario: «Da lui preziosi consigli e indicazioni». Poi, in aula, c’erano state un paio di correzioni: il titolo della legge era stato modificato, per l’autoproduzione di farmaci era stato specificato che si sarebbe trattato di “azioni sperimentali” e “progetti pilota”. Ma, evidentemente, a Palazzo Chigi non è bastato. E il Veneto, che era stato la terza regione dopo Toscana e Liguria a dare attuazione alle disposizioni ministeriali del 2007 sulla valenza terapeutica dei derivati dalla cannabis, si è visto stoppare la legge.
Lo stesso dicasi per le Unioni montane. Con una differenza: l’impugnazione della legge 40 che di fatto ha resuscitato le Comunità montane rischia di creare un pasticcio. Per dire: martedì in giunta l’assessore Marino Finozzi (Lega) dovrebbe portare la delibera che deve attuare la nuova normativa. Il punto è: si andrà avanti lo stesso nonostante l’impugnazione da parte del Governo? E se alla fine la Corte costituzionale dovesse bocciare le Unioni montane, che ne sarà del lavoro fatto nel frattempo? Un pasticcio, appunto.
Tra l’altro non è chiaro il motivo dello stop: nella nota diffusa ieri da Palazzo Chigi si cita l’articolo 117 terzo comma della Costituzione, quando in realtà i timori di una impugnazione riguardavano il mancato rispetto della spending review. Per dire: per ogni Unione montana si prevedono tre rappresentanti (il sindaco e due consiglieri) di ciascun Comune, quando le indicazioni erano di farne uno. È vero che gli incarichi sono gratuiti, ma l’aver previsto una nuova “struttura” – tanto più che già c’era la cosiddetta legge Ciambetti per l’esercizio associato delle funzioni – al Governo forse non è andato bene.
Alda Vanzan – Il Gazzettino – 2 dicembre 2012