Inviato alle Regioni il decreto attuativo della spending review: ma i governatori già frenano. Strutture ospedaliere divise in tre fasce e sfoltimento basato su volume minimo delle prestazioni, bacino d’utenza e soglie di rischio. Forse 18-20mila posti-letto in meno per i ricoveri ordinari, almeno un migliaia di reparti doppione o poco (e male) impiegati che saltano, altrettanti primariati e poltrone di baroni della medicina che tremano. E piccoli ospedaletti in bilico. È pronta la grande dieta per gli ospedali italiani, sia pubblici che privati. Dopo la spending review di questa estate, arrivano le regole applicative che il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha appena inviato alle Regioni. Che dovrebbero tradurle in propri provvedimenti entro fine anno. Ma già i governatori sono pronti a frenare. Non accettano ultimatum, ovvero che le misure siano ordinative, non indicative
E lamentano un’invasione di campo e il mancato coinvolgimento nella messa a punto del documento. Insomma, sarà un nuovo testa a testa. Anche perché il regolamento predisposto dal ministro della Salute insieme all’Economia (per il testo si veda www.24oresanita.com) interviene pesantemente per riorganizzare dopo decenni e dare un senso compiuto a livello nazionale alla rete ospedaliera nazionale. Con l’obiettivo dichiarato di garantire livelli di assistenza omogenei in tutta Italia sia per l’adeguatezza delle strutture, sia per le risorse umane impiegate in rapporto ai pazienti “serviti” e al livello di complessità delle singole strutture e dell’interazione con la rete di assistenza sul territorio.
Un intervento poderoso e necessario, anche se ciascuna Regione potrà lamentare le proprie specificità e qualcuna rivendicare gli interventi già attuati. Le ricadute pratiche in termini di tagli di posti letto, di reparti, primariati e anche di ospedaletti, è così legata alle scelte locali. Dove sarà inevitabile l’assalto a difesa di ospedali, discipline e poltrone. Quanto ai risparmi possibili dell’operazione, la spending review (legge 135/2012) non li cifra, ma Balduzzi ha detto ripetutamente che per le Regioni ci saranno sicuramente minori spese. Tutto sta a vedere i tempi di realizzazione e quanto, come e se, il sistema terrà alle necessità di cura, anche per le possibili ricadute sulle liste d’attesa, aspettando che il territorio si attrezzi davvero alla deospedalizzazione.
«Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell’assistenza ospedaliera»: già dal titolo il regolamento mette le cose in chiaro. Con tre carte decisive da giocare nell’operazione di sfoltimento: i volumi minimi di prestazioni effettuate, le soglie di rischio degli outcome di cura, il bacino d’utenza della popolazione. Con un jolly per le Regioni che ospitano la mobilità dei pazienti in cerca di cure fuori casa.
Nell’ambito dell’intera valutazione saranno così costruiti gli standard delle prestazioni. Gli ospedali vengono distinti in tre classi: di base con un bacino di 80-150mila abitanti, con pronto soccorso e un numero essenziale di specialità; di primo livello, con 150-300mila abitanti, con dipartimenti di emergenza-urgenza con numerose specialità e tecnologie avanzate; di secondo livello, tra 600mila e 1 milione di abitanti, prevalentemente ospedali-azienda, Irccs, ospedali di grandi dimensioni non scorporati dalla asl. Gli standard avranno valore per tutte le discipline, che saranno puntigliosamente verificate.
Dalla verifica arriveranno i tagli. E non mancheranno sorprese e interventi a volte troppo a lungo rinviati: che dire delle 15 cardie del Policlinico Umberto I? E, sempre all’Umberto I, che dire delle 20 diverse chirurgie che in un anno hanno eseguito in tutto 400 interventi sulla cistifellea in laparoscopia, ma solo una ne ha fatti più di settanta mentre a Parma lo stesso risultato è stato raggiunto in soli tre reparti? Quanto alla cardiochirurgie, anche la Lombardia non scherza: ne ha 22, secondo la società di cardiochirurugia ne basterebbero dieci.
Nella ristrutturazione ci sarà spazio per la rete dell’emergenza-urgenza, per la chirurgia ambulatoriale, i centri-traumi, le reti per l’ictus. E anche le cliniche accreditate col Ssn dovranno partecipare: quelle considerate di «integrazione» alla rete ospedaliera pubblica manterranno l’accreditamento solo se hanno più di 80 posti-letto per acuti. (Roberto Turno – Il Sole 24 Ore)
La mappa dei tagli nei nostri ospedali. Tagli record in Molise Lazio e Trentino
Entro il 31 dicembre le Regioni dovranno indicare dove e come ridurre 30mila posti letto negli ospedali che saranno riutilizzati per altre funzioni. Si punta sull’efficienza e sull’eliminazione dei doppioni. A Roma, per esempio, solo una cardiochirurgia delle 8 presenti rispetta i nuovi criteri. Lo schema di regolamento per il 2013-2015. Ospedali e posti letto. Tagli record in Molise Lazio e Trentino Il ministero: trentamila da eliminare
Trentamila letti in meno negli ospedali italiani. Assume concretezza la prospettiva, delineata dal decreto sulla revisione della spesa (spending review) della scorsa estate. Entro il 31 dicembre le Regioni dovranno indicare dove e come effettueranno la riduzione. Si dovrà passare nel prossimo triennio 2013-2015 a un rapporto di 3,7 letti ogni mille abitanti dall’attuale 4,2, la media nazionale. Lo 0,7% devono essere dedicati a riabilitazione e lungodegenza di malati che hanno superato la fase acuta. Alcune Regioni, come Emilia Romagna, Veneto, Toscana o Lombardia, hanno già avviato questa operazione, altre invece devono cominciare quasi da zero e non a caso sono quelle con maggior deficit, sotto piano di rientro. Il Molise è quella che deve ridurre di più (-33,2%), seguita dalla Provincia autonoma di Trento (-20,9%) e Lazio (-19,9%). Si marcia dunque verso un sistema più moderno. Le parole chiave: meno ospedali (molto costosi e fonte di sprechi), più servizi territoriali, più appropriatezza. I criteri in base ai quali procedere sono indicati in uno schema di regolamento sugli «standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell’assistenza ospedaliera». Salvo sorprese verrà esaminato la prossima settimana dalla Conferenza Stato-Regioni, per l’approvazione. Il documento è pronto, frutto del lavoro del ministero della Salute attraverso l’agenzia per i servizi sanitari (Agenas) diretta da Fulvio Moirano, che ha in mano anche il cosiddetto programma per la valutazione delle performance delle singole strutture.
Più che di sforbiciata, è corretto parlare di riconversione visto che i letti non verranno aboliti ma riutilizzati per funzioni diverse ad esempio residenze per anziani, lungodegenza. Il taglio non sarà attuato attraverso tanti piccoli interventi, un posto in meno lì, due in meno lì, secondo la logica della mediazione, specie nelle università. Spariranno interi primariati-doppione (oggi si chiamano unità operative complesse) selezionati in base al bacino di utenza e al rendimento. Questo a garanzia dei pazienti. Più una struttura accumula esperienza e casistica, più è sicura, soprattutto per quanto riguarda le alte specialità. Centri trapianti, cardiochirurgia, neurochirurgia. In molte realtà sono troppi e lavorano poco perché devono spartirsi i malati, a discapito della qualità. Per alcune specialità (ad esempio by pass coronarico) vengono fissati dei limiti al di sotto dei quali non si dovrebbe scendere: almeno 150 l’anno. A Roma, tanto per fare un esempio, solo una cardiochirurgia delle 8 presenti rispetta questo ritmo. In Lombardia io su 18. «Chiudere i primariati?
Un’impresa, spesso non ci si riesce, si incontrano molte resistenza politiche», racconta Giuseppe Zuccatelli, oggi subcommissario della Sanità abruzzese, intervenuto su questo tema al convegno organizzato a Roma da «Meridiano Sanità» sulla salute in Italia in tempo di crisi economica. «Bisogna raggiungere l’indicatore sui letti stabilito dal ministero attraverso l’eliminazione di reparti interi, unico modo per ottenere risultati duraturi ed efficaci sul piano economico e di recupero di personale. Infermieri e ausiliari da utilizzare altrove e per coprire il turn over», analizza Zuccatelli. Dunque non tagli lineari, ciechi o effetto di spinte e pressioni. Lo schema di regolamento suddivide gli ospedali in tre categorie (hub, spoke e integrativi) in base a grandezza e strutture. Si insiste sull’indice di occupazione dei posti letto che deve attestarsi su 80-90%: in reparti di 3o posti, ne devono essere occupati in media 26. Le misure antisprechi funzionano così. (Margherita De Bac – Il Corriere della Sera)
La mappa dei tagli negli ospedali nelle Regioni
8 novembre 2012 – riproduzione riservata