Anche le ostriche si ammalano di herpes. Non del famigerato virus umano (Herpes simplex) che fa venire antiestetiche bolle sulle labbra, ma di una nuova variante dell’Ostreid herpes virus, denominata OsHV-1 µvar, che ha fatto strage di questi molluschi bivalvi in Francia (si contano perdite del 70 per cento) e preoccupato anche gli allevatori italiani. «Attacca le larve e le forme più giovani quando i loro organismi sono talmente concentrati sulla produzione di sperma e uova che non hanno spesso le risorse per mantenere un sistema immunitario efficiente», spiega Laura Serracca, dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (Izsto).
STORIA – Capace di annientare in una settimana anche l’80 per cento di un banco di ostriche, questo virus ha una sua storia. Della sua esistenza i biologi marini si sono accorti nel 2008, quando ha cominciato a determinare una mortalità anomala negli allevamenti non solo francesi, ma anche di Belgio, Gran Bretagna e Irlanda. Due anni dopo la Commissione Europea emanò un regolamento per prevenire la sua diffusione: stabiliva controlli per le ostriche che, provenienti da zone infette, venivano introdotte in aree dove il virus non era stato ancora rilevato e lasciava ai singoli Stati la gestione della sorveglianza. Il fatto che l’epidemia non si fosse propagata in Italia, Spagna e Olanda, nonostante questi Paesi avessero acquistato elementi infetti, aveva tuttavia fatto ritenere che non bastasse il virus per scatenare una moria, ma ci volessero altri fattori ambientali come una temperatura superiore a 16 gradi e la presenza di batteri del genere vibrio. Particolari che hanno spinto l’Efsa (European Food Safety Authority) a definire l’infezione come multifattoriale e a classificarla come una vera e propria sindrome da OsHV-1 µvar.
BOMBA A OROLOGERIA – Su questo concetto sta attualmente lavorando il progetto di ricerca sviluppato dalla microbiologia marina della sezione di La Spezia dell’Izsto, progetto finanziato dal ministero della Salute con il preciso scopo di tutelare gli allevamenti locali e di approfondire le conoscenze in merito all’infezione. «Campionamenti mensili di ostriche sottoposte a periodiche analisi morfologiche e allo studio del genoma di OsHV-1 µvar, ha permesso di scoprire che a distanza di anni il virus mutato c’è ancora nelle ostriche allevate alla Spezia sebbene sia in forma latente», riferisce Serracca, «e che dalla primavera di quest’anno è stata rilevata anche un’infezione di Vibrio splendidus, insorta quando la temperatura ha varcato la soglia dei 16 gradi». Può essere un segnale preoccupante, una sorta di ammonimento per gli allevatori di un’incombente epidemia?
PROGETTO ITALIANO – Difficile ancora dirlo con i pochi dati attualmente a disposizione. «Per il momento siamo tranquilli», si fa portavoce Paolo Varrella, allevatore di molluschi alla Spezia, che ammette che coltivare le ostriche non è affatto una passeggiata: occorrono una presenza costante in mare e tante ore di lavoro per asciugarle, lavarle, selezionarle. L’ostrica più coltivata è attualmente la Crassostrea gigas (Ostrica del Pacifico), con un genoma triploide modificato che non consente la riproduzione ma solo la crescita: nell’arco di otto mesi è già pronta per essere venduta. Di certo poter puntare su un prodotto locale, per esempio sull’ostrica piatta che cresce nei nostri mari, sarebbe positivo: essendo non infetta, aprirebbe mercati interessanti. Proprio su questa prospettiva è impostato il progetto Mare di Regione Liguria, Università di Genova e Osservatorio ligure pesca e ambiente, che ha già messo in atto un collettore per allevare ostriche locali.
Manuela Campanelli – Corriere della Sera – 23 ottobre 2012