Organici dirigenziali quasi dimezzati rispetto al 2008, e posti del personale alleggeriti di un quarto abbondante. Dovrebbero essere questi i risultati a regime della nuova sforbiciata al pubblico impiego nelle amministrazioni centrali messa nero su bianco nell’ultimo decreto sulla revisione di spesa. Sulla carta. Per calcolare i numeri veri chiesti dal nuovo provvedimento, basta leggere con attenzione il testo approvato dal consiglio dei ministri. La riorganizzazione prevista dal nuovo decreto chiede ad amministrazioni dello Stato, agenzie fiscali, enti pubblici non economici ed enti di ricerca di alleggerire del 20% gli organici dirigenziali e di almeno il 10% quelli non dirigenziali. Fin qui, tutto bene, ma il provvedimento aggiunge una postilla.
Le riduzioni, spiega infatti il secondo comma dell’articolo 2, «si applicano agli uffici e alle dotazioni organiche risultanti a seguito dell’applicazione dell’articolo i, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.138».
Ma che cosa chiedeva la manovra-bis dello scorso anno alla stessa platea di amministrazioni centrali, enti pubblici non economici, agenzie fiscali ed enti di ricerca? Una riduzione di almeno il 10% degli uffici dirigenziali di livello non generale e degli organici del personale non dirigente. La catena, però, non è finita, perché la rasoiata del 10% doveva avvenire «all’esito della riduzione degli assetti organizzativi prevista dal predetto articolo 74 e dall’articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge 3o dicembre 2009, n. 194». Una norma, quest’ultima, che rilanciava una prima misura scritta nel decreto 112 del giugno 2008, il primo dei dieci interventi anticrisi passati in rassegna qui sopra, dove sempre alla stessa platea si imponeva una riduzione a scaglioni: 20% per gli organici dei dirigenti generali, 15% per quelli non generali e 10% per il personale non dirigente.
Riassumiamo, prendendo ad esempio un’amministrazione che a inizio 2008 contava 10 dirigenti generali: sarebbero dovuti diventare 8 dopo il primo intervento (meno 20%), 7 dopo il secondo (meno 10%) per attestarsi a 6 alla luce dell’ultima revisione di spesa (arrotondando il 5,76 che emerge dal nuovo taglio del 20%). Risultato: un dimagrimento secco del 4o per cento. Un po’ meno draconiano, ma più ricco di effetti per i numeri ai quali si riferisce, dovrebbe essere il passaggio dell’accetta sugli organici non dirigenziali. Mettendo in progressione le tre tappe già scritte in «Gazzetta Ufficiale», infatti, si arriverebbe a una riduzione del 27,1% degli organici in vigore all’inizio del 2008. Dal momento che tagli agli organici pubblici vicini al 50% in tre anni si affacciano con difficoltà anche nelle ipotesi dei liberisti più accesi, occorre vedere che cosa è successo in realtà negli uffici pubblici. Che, numeri alla mano, si sono mossi in ordine sparso. Tra 2008 e 2011, come mostrano gli ultimi dati della Corte dei conti, il settore statale ha ridotto il proprio personale effettivo di un magro 1,1%, ma al suo interno c’è chi ha fatto molto (le agenzie fiscali si so- no alleggerite già del 15,2%), chi ha fatto meno (la scuola, nonostante i tanti interventi, rimane a livelli identici al 2008) e chi è andato in senso contrario (l’Università ha aumentato le proprie fila del 14,4%, compresi i professori e ricercatori a tempo determinato). La stessa varietà si incontra fra i dirigenti, che tra 2008 e 2010 sono scesi dell’8,9% nelle agenzie ma solo dello 0,9% alla presidenza del Consiglio (dove il rapporto numerico fra dirigenti e dipendenti è decisamente più alto rispetto agli altri settori). Di tutto questo dovrà tenere conto la fase applicativa del nuovo decreto, che prevede anche compensazioni fra diverse amministrazioni e, ammorbidendo molto i meccanismi previsti dalla riforma Brunetta, richiama i sindacati a un ruolo cruciale nelle decisioni sulla riorganizzazione: il tutto, curiosamente, mentre le accuse pronunciate nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio Mario Monti riaccendono il dibattito sui «mali della concertazione».
Il Sole 24 Ore – 16 luglio 2012