In Italia ci sono 3.486 aziende zootecniche che percepiscono e percepiranno illecitamente contributi comunitari dal 2005/2006 fino al 2014, perché assegnati in base a quote latte che dovevano essere loro revocate. Il tutto per tre euro al quintale di quota detenuta illecitamente. La revoca doveva essere fatta dalle regioni, su disposizione di Agea. Ma l’input dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura non è mai partito. Perché? In primis, va detto che le revoche scattano a distanza di due anni dalla verifica della ridotta produzione. Ad esempio, per la campagna produttiva 2003/2004, le eventuali revoche sono scattate dal primo aprile 2005 (inizio della campagna 2005/2006).
Ora, una circolare Agea di cui Italia-Oggi è in possesso, datata 14 giugno 2004 (prot. Dpau 4507) e indirizzata a tutte le regioni, ad Agrisian (l’ex Sin) e al ministero delle politiche agricole, spiega che la revoca scatta solo se «nel corso dell’ultimo periodo di 12 mesi, il produttore non utilizzi » la propria quota individuale «separatamente per le consegne e le vendite dirette, per almeno il 70% (della quota assegnata, ndr)», qualora nel frattempo non siano incorse cause di forza maggiore. Tradotto: il produttore deve produrre almeno il 70% della quota assegnata; in caso contrario due anni dopo perde la porzione di quota non prodotta. Il meccanismo di controllo in atto, però, non contempla la possibilità che nel biennio passante tra la produzione reale e l’eventuale momento della revoca, il detentore di quote latte abbia nel frattempo venduto parte della propria quota, per via della minor produzione effettuata.
Infatti, sebbene la legge 119/2003 e il dm attuativo 31 /7/2003 prevedano esplicitamente la revoca della quota non prodotta, la circolare Agea consente invece ai produttori di mantenere in portafogli una quota allineata alla effettiva produzione registrata due anni prima. Non curandosi, però, di verificare se nel frattempo (cioè nel biennio successivo) il produttore abbia venduto parte della propria quota.
Questo si evince da un documento, di cui ItaliaOggi è in possesso, che testimonia come Agea, a seguito della sua circolare, non abbia potuto dare l’ordine di revoca alla regione competente, perché diversi agricoltori, «pur avendo commercializzato un quantitativo inferiore al 70% della quota di cui erano titolari» nel 2003, due anni dopo (cioè nel 2005) avevano in mano quote latte inferiori per entità alla produzione del 2003. In sostanza, le avevano vendute. Ma, avendo la circolare Agea fatto passare il principio dell’allineamento alla produzione, e non quello della revoca, come previsto dalla legge, gli stessi agricoltori hanno mantenuto una quota a cui non avevano titolo. Quota, che ha permesso loro di incassare titoli Pac non dovuti per i dieci anni a venire. Questo meccanismo, in sostanza, ha impedito la revoca istantanea delle quote latte non prodotte e la successiva redistribuzione delle stesse alle aziende che ne avevano necessità.
E titolo. E ha poi innescato un mercato delle quote latte, che ancora oggi produce i suoi effetti. Se a questo si aggiunge che, una annotazione di polizia giudiziaria dei Carabinieri delle politiche agricole, datata 21 febbraio 2011, di cui ItaliaOggi è in possesso e agli atti presso il tribunale di Roma, denuncia testualmente che per la campagna 2003/2004 (con eventuali revoche nell’aprile 2005) «le quote che dovevano essere revocate sono decisamente superiori a quelle indicate daAgea, per un valore complessivo pari a 741.013,85 quintali di quota, corrispondenti a 3.771 aziende di produzione» e che, scrivono i Nac «la responsabilità nella individuazione delle quote da revocare a seguito della mancata produzione (per altro accertata pari a zero) ricade interamente
in capo acl Agea», si deduce che il sistema era completamente in barca. E che, certamente, ci sono forti incongruenze rilevate sia dall’indagine dei Carabinieri, sia dalla documentazione Agea-regioni.
LA SITUAZIONE ATTUALE. La mancata redistribuzione di quote non prodotte è andata avanti fino al 2008. Le aziende che hanno una produzione superiore alla quota assegnata, ancora oggi, per evitare le multe sono indotte ad affittare sul mercato quote aggiuntive. Un caso che si verifica soprattutto quando Agea lancia l’allarme rosso del pericolo di superamento della quota nazionale di produzione.
Quest’anno l’allarme è stato lanciato a febbraio da un comunicato del ministero delle politiche agricole; successivamente il mercato degli affitti di quota si è scaldato, ma la quota nazionale a fine campagna (31 marzo) non è stata superata. Risultato: le aziende hanno speso per nulla. Contro questa pratica, per altro, ha tuonato Fabio Rainieri, deputato della Lega Nord, segretario della commissione agricoltura alla Camera. Rainieri ha accusato il ministro alle politiche agricole, Mario Catania, di urlare al rischio splafonamento. Di più. Ha detto: «crede davvero che esistano vacche invisibili che producono latte vero. Vada a cercare il ‘nero’ che entra dalle frontiere, invece di scaricare le colpe sulle stalle». Rainieri, anche lui produttore di latte e noto splafonatore, non dice però che nel 2001 ha venduto buona parte delle quote latte in suo possesso, passando dai 366.263 kg di latte (quota A) in portafogli nel 2001 ai 34.526 kg (quota A) del 2002. Quindi monetizzando per 331.737 kg (quota A), all’epoca per un valore di circa 70 euro al quintale. Ma poi, dopo aver venduto le sue quote, Rainieri ha continuato a produrre latte per circa novemila quintali l’anno. Dunque, ben oltre le quote in suo possesso. Chi è senza peccato…
Luigi Chiarello – ItaliaOggi – 16 giugno 2012