A tanto ammonta la quota di spesa sanitaria “rivedibile” nel medio periodo, pari al 33,1% del totale delle spese della PA sulla quale si concentra la spending review. Per il 2012 l’obiettivo è un taglio 4,2 mld, sanità compresa. Bondi (ex Parmalat) commissario del programma. Si è chiuso dopo quasi 5 ore il Consiglio dei Ministri che ieri ha esaminato, tra gli altri provvedimenti, il rapporto sulla spending review elaborato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento e il Programma di Governo Piero Giarda. Per la sanità, in particolare, come spiega il documento sulla spending review allegato al comunicato stampa di fine seduta, nel medio periodo la spesa rivedibile sarebbe pari, in totale, a 97,6 miliardi. In pratica il 33,1% del totale della spesa rivedibile.
In particolare, sempre secondo la tabella di Palazzo Chigi riferita alla sanità, vi sarebbero risparmi possibili sulle retribuzioni lorde per un totale di 28,3 miliardi e sui consumi intermedi, ovvero beni e servizi, per altri 69 miliardi. Su queste spese “rivedibili”, i calcoli del governo indicano la possibilità di un risparmio medio attorno al 25%, nel breve periodo.
Il rapporto analizza le voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, con la finalità di evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare alla crescita. “La razionalizzazione e il contenimento dei costi – si legge nel comunicato stampa diffuso da Palazzo Chigi a fine seduta – sono infatti fondamentali per garantire, da un lato il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, dall’altro l’ammodernamento dello Stato e il rilancio dell’economia e dell’occupazione”.
In particolare, spiega ancora la nota di Palazzo Chigi, il rapporto pone l’accento su cinque anomalie di sistema:
1. La prima riguarda la struttura della spesa pubblica italiana. In Italia si spende meno della media dei Paesi OCSE per la fornitura di servizi pubblici e per il sostegno agli individui in difficoltà economica mentre le spese per gli interessi sul debito pubblico e per le pensioni superano la media europea. Queste due voci valgono circa 310 miliardi di euro, una cifra che ostacola la flessibilità di gestione e adattamento della risposta pubblica alle domande provenienti dall’economia.
2. La seconda è rappresentata dal costo della produzione dei servizi pubblici. L’aumento dei costi di produzione dei servizi pubblici (scuola, sanità, difesa, giustizia, sicurezza) non è stato accompagnato da un adeguato livello di qualità. Queste spese, secondo i dati ISTAT, sono cresciute in trenta anni, dal 1980 al 2010, molto più rapidamente dei costi di produzione dei beni di consumo privati. Se i costi del settore pubblico fossero aumentati nella stessa misura del settore privato, la spesa per i consumi collettivi oggi sarebbe stata di 70 miliardi di euro più bassa.
3. La terza è l’aumento delle spesa dovuto alle diffuse carenze nell’organizzazione del lavoro all’interno delle amministrazioni, nelle politiche retributive e nelle attività di acquisto dei beni necessari per la produzione.
4. La quarta riguarda l’evoluzione della spesa e la sua governance. Negli ultimi vent’anni, ad esempio, la spesa sanitaria è aumentata passando dal 32,3 per cento al 37 per cento del totale della spesa pubblica mentre la spesa per l’istruzione è scesa dal 23,1 per cento al 17,7 per cento. Ciò è dovuto in parte all’andamento demografico, in parte a decisioni che riguardano la sfera politica e la struttura degli interessi costituiti.
5. La quinta anomalia è nel rapporto centro-periferia, per cui gli enti locali esercitano le stesse funzioni, a prescindere dalle dimensioni e caratteristiche territoriali. Questo porta a una lievitazione dei costi negli enti con un numero inferiore di abitanti.
Secondo il rapporto, la spesa pubblica “rivedibile’’ nel medio periodo è pari a circa 295 miliardi di euro. A breve termine, la spesa rivedibile è notevolmente inferiore, stimabile in circa 80 miliardi. Nell’attuale situazione economica, il Governo ha ritenuto necessario un intervento volto alla riduzione della spesa pubblica per un importo complessivo di 4,2 miliardi, per l’anno 2012, al quale tutte le amministrazioni pubbliche devono concorrere. Questo importo potrebbe servire, per esempio, a evitare l’aumento di due punti dell’IVA previsto per gli ultimi tre mesi del 2012.
Una riduzione di 4,2 miliardi, da ottenersi in 7 mesi (1° giugno-31 dicembre 2012) equivale a 7,2 miliardi su base annua e corrisponde perciò al 9% della spesa rivedibile nel breve periodo (80 miliardi).
Il programma di riduzione, precisa il comunicato di Palazzo Chigi, “non sarà lineare ma selettiva, e sarà realizzata potenziando la linea di risparmio seguita dal Governo nei primi mesi di attività: ad esempio i risparmi (per oltre 20 milioni di euro) prodotti dalla Presidenza del Consiglio grazie alla diminuzione delle consulenze e ai tagli all’organico, la riduzione degli stipendi dei manager pubblici, i tagli sui voli di stato e sulle ‘auto blu’, la soppressione di enti, o la riforma delle province” (in allegato una seconda nota diffusa da Palazzo Chigi che sintetizza i sintesi dei tagli effettuati).
Una direttiva del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro Giarda, indicherà ai Dicasteri le linee da seguire per contenere le spese di gestione. La direttiva disciplina specificamente il contributo che le amministrazioni centrali sono tenute a prestare per il raggiungimento dell’obiettivo della riduzione sopra indicato. Gli interventi richiesti vanno dall’eliminazione di sprechi ed eccessi di risorse impiegati, alla revisione dei programmi di spesa, al miglioramento delle attività di acquisto di beni e servizi, alla ricognizione degli immobili pubblici in uso alle pubbliche amministrazioni al fine di possibili dismissioni.
Per il coordinamento generale delle attività è costituito il comitato dei Ministri per la revisione della spesa, presieduto dal Presidente del consiglio dei Ministri e composto dal Ministro delegato per il Programma di governo, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dal Viceministro dell’economia e delle finanze e dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Per assicurare rapida esecuzione al programma di revisione della spesa, soprattutto in ragione delle straordinarie condizioni di necessità e urgenza che impongono un intervento deciso sull’economia, il Consiglio dei Ministri ha previsto, con decreto legge, la funzione di Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi con il compito di definire il livello di spesa per voci di costo. Per l’incarico sarà nominato Enrico Bondi.
Tra i compiti affidati al Commissario ci sono quello di coordinare l’attività di approvvigionamento di beni e servizi da parte delle PA, incluse tutte le amministrazioni, autorità, anche indipendenti, organi, uffici, agenzie o soggetti pubblici, gli enti locali e le regioni, nonché assicurare una riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, per voci di costo, delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario potrà segnalare al Consiglio dei Ministri le norme di legge o regolamento che determinano spese o voci di costo e che possono essere razionalizzate. Potrà inoltre proporre al Consiglio la sospensione o la revoca di singole procedure relative all’acquisto di beni e servizi e l’introduzione di nuovi obblighi informativi a carico delle PA.
“Meritano un attento esame – sottolinea la nota di Palazzo Chigi – anche le risorse pubbliche destinate alle imprese, così come quelle che affluiscono ai partiti politici e ai sindacati”. Per quanto riguarda gli aiuti alle imprese, il Consiglio dei Ministri ha conferito al Professor Francesco Giavazzi l’incarico di fornire al Presidente del Consiglio e Ministro dell’Economia e delle finanze e al Ministro dello Sviluppo, delle infrastrutture e dei trasporti analisi e raccomandazioni sul tema dei contributi pubblici alle imprese.
Per quanto riguarda i partiti e i sindacati, il Consiglio dei Ministri ha conferito al Professor Giuliano Amato l’incarico di fornire al Presidente del Consiglio analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principi di cui all’articolo 49 della Costituzione, sul loro finanziamento nonché sulle forme esistenti di finanziamento pubblico, in via diretta o indiretta, ai sindacati.
“Le risorse che si ricaveranno con gli interventi – conclude la nota di Palazzo Chigi – consentiranno di realizzare gli obiettivi di finanza pubblica indicati nel DEF e favoriranno l’alleggerimento della pressione fiscale sui cittadini”.
quotidianosanita.it – 1 maggio 2012