“Taglia e privatizza” è il nuovo progetto per salvare gli ippodromi dal default. I 42 storici dell’horse racing diventeranno un terzo. I restanti 27 saranno liberati da ogni vincolo di concessione. Nel “plan” si parla apertamente di “riconversione” o “rottamazione” degli impianti. Entro dodici mesi poi le scommesse passano in mano ai tre concessionari storici. Le rinvigoreranno grazie alla calamita delle slot machine installate nei circuiti sportivi. L’ippica spolpata è pronta a essere raccolta dalle immobiliari italiane, a caccia di nuove terre da cementificare. L’unico progetto ufficiale presentato al governo per salvare uno sport in pre-default è quello che consentirà ai poteri forti di questo mondo di potare i rami secchi mandando a casa una parte consistente dei 67 mila lavoratori impegnati tra ippodromi e scuderie.
Per passare, poi, a spartirsi i proventi dei casinò che entreranno negli ippodromi sopravvissuti. Il terzo passaggio del progetto è quello di liberare terreni metropolitani per la speculazione di domani: nuovi quartieri sugli impianti abbandonati, centri commerciali, aree per tifosi del calcio, luoghi per il fitness. L’operazione è stata avviata lo scorso autunno dal conte Guido Melzi d’Eril, erede di nobile famiglia milanese. È riuscito a definire il “business plan” e, in parallelo, a orchestrare lo sciopero dell’ippica: 41 giorni di serrata in inverno, un suicidio pilotato.
Ma quanto vale l’ippica italiana? E chi se la sta comprando? Ancora lo scorso dicembre in Italia lo sport dei cavalli garantiva entrate per 240 milioni. Oggi un nuovo soggetto composto dai gestori di scommesse Snai-Sisal-Lottomatica e da Hippogroup, proprietari di cinque ippodromi guidati dal conte Melzi d’Eril, ha in mano l’assegno ridotto per l’acquisto del settore intero: 100 milioni. La nuova Lega ippica italiana, 5800 imprese ludiche alle spalle, ha chiesto un incontro con il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, e la benedizione del ministro dell’Agricoltura, Mario Catania, in gioventù giudice di corsa a Roma Capannelle.
Il piano industriale (e confindustriale) prevede che i 42 ippodromi esistenti diventino 15. Entro dodici mesi. Saranno i tre concessionari storici a gestire le declinanti scommesse ippiche, da rinvigorire grazie alla calamita delle slot machine installate nei circuiti sportivi. Da settembre 2012 lo stesso Moloch del gioco d’azzardo – sul territorio controlla videolotteries e poker online – sarà il promotore-tesoriere delle scommesse sui cavalli virtuali, approvate in tutti i rami politici.
La Lega ippica italiana, si legge nella “Proposta per il rilancio del settore”, alla fine della trasformazione sarà proprietaria di dodici-tredici dei quindici ippodromi che continueranno a ospitare gare e rileverà, in un’orgia di concentrazione, i più delicati compiti tecnici da sempre assegnati all’Unire, ente pubblico cancellato. Per stilare i calendari e pagare i premi, organizzare privatamente l’antidoping e scegliere le giurie, i nuovi gestori saranno retribuiti.
Per i primi tre anni dallo Stato, poi, assicurano, dal mercato. L’associazione di imprese ha già chiesto 300 milioni pubblici a stagione, quando alla “vecchia ippica” quest’anno ne sono arrivati 39,7. E sta fissando le tariffe per i servizi offerti. L’Assogaloppo, imprenditori critici, ha scritto una lettera contro il progetto: “L’ippica morente ringrazia il ministro Catania e gli ippodromi d’élite, sempre più collusi con i concessionari: hanno ridotto l’ippica a supporto di intrattenimento per casinò”.
LA COLATA SU PISTE E SCUDERIE
Il progetto “taglia e privatizza” avvicina l’ippica alla deregulation della Formula Uno. Se i 42 ippodromi storici dell’horse racing diventeranno un terzo, e già tredici li avevamo persi negli ultimi dieci anni, i restanti 27 saranno liberati da ogni vincolo di concessione e con i loro ettari posizionati nelle aree migliori delle città si offriranno ai cambi di destinazione d’uso.
Nel “plan” si parla apertamente di riconversione o rottamazione degli impianti. L’agenzia Snai, che controlla tre strutture più il prezioso San Siro, sta cercando un accordo con Milan e Inter per collegare lo stadio Meazza alle tribune del suo ippodromo dimezzato. I club di calcio sui 131 mila metri confinanti vogliono offrire negozi, ristoranti, poker online ai loro tifosi-clienti, le corse di trotto saranno trasferite a Torino. A Montecatini, impianto stagionale, è previsto un centro commerciale al posto dei parcheggi.
L’ippodromo di Padova ha spostato le sue corse a Treviso mentre un gruppo di imprenditori nordestini, Newcom, ha offerto 18 milioni per l’acquisto di Ponte di Brenta e delle attività connesse: ristorante, hotel, piscina. Vogliono far nascere un centro dell’intrattenimento ludico per l’intero Veneto. Ancora, lo sviluppo dell’ippodromo delle Bettole da parte della Società varesina incremento corse cavalli (la casa madre è ancora Hippogroup) passa per l’abbattimento delle scuderie e un intervento di edilizia residenziale.
Non sempre la fine di un impianto significa nuovo cemento. Firenze Mulina tornerà parco protetto, per l’ippodromo di Follonica c’è un piano di urbanistica sostenibile, l’area di Foggia è al centro di una riconversione ecologica. A Roma Tor di Valle invece, quinta del celebre film “Febbre da cavallo”, la famiglia Papalia e il palazzinaro Parnasi trasformeranno i 420 mila metri quadrati dedicati al trotto in un quartiere residenziale con centro commerciale iper. A Firenze Cascine, Varese e Montecatini gli spazi di sosta e allenamento dei cavalli sono stati cancellati.
Sulle aree degli ippodromi italiani, ecco, è in corso una grande operazione di riassetto immobiliare. Sono appetite da molti, a partire dai fondi d’investimento – Clessidra, Axa, Permira, Bonomi – che nelle ultime stagioni hanno preso il controllo dei concessionari dei giochi. È cambiata la natura dei “gestori”. Prima si dedicavano solo alle scommesse, ora sono pronti a investire i grandi flussi di contante che le scommesse garantiscono su nuovi canali: terreni e mattone.
Quei cavalli malati “sospetti” destinati alla sperimentazione
Si chiama AIE- Anemia infettiva equina e ormai ha un’incidenza minima. Eppure alcuni animali risultano positivi alla malattia, nonostante altri esami dicano il contrario. Per questi esemplari la legge prescrive l’isolamento. Ma molti proprietari non ci stanno
Un piccolo test in più: ecco cosa accomuna la puledra Rocket, rinchiusa sotto sequestro sanitario da due anni, e la mula Marisa, macellata alla fine di un progetto di sperimentazione. Entrambe hanno ricevuto il marchio di positività all’AIE-Anemia infettiva equina attraverso l’Immunoblotting benché fossero perfettamente negative ai Coggins, gli esami di riferimento stabiliti dalla legge comunitaria. Una volta, quando il virus faceva paura, correva l’obbligo dell’abbattimento immediato. Oggi ai proprietari si offre l’opzione di isolare l’equide: difficile però, lo fanno in pochi. Protestano dunque le associazioni animaliste, e non solo, contro procedure considerate pericolosamente fuori norma. C’è chi avanza persino l’ipotesi di forzature nel voler riscontrare a ogni costo, condannando gli animali, una malattia che oggigiorno in Italia ha incidenza minima.
“Test arbitrari, sperimentazione su muli vivi, ma la cosa più sconcertante è l’elusione di responsabilità da parte dell’autorità sanitaria, arroccata nel silenzio,” dice Sonny Richichi, responsabile organizzativo della IHP-Italian Horse Protection association che ha diffidato il sindaco di Poli, nel Lazio, chiedendo l’immediato dissequestro di Rocket. E’ per questa puledra, attorno alla quale ha fatto muro una famiglia tutta al femminile, madre e tre figlie, che si solleva infatti il polverone. La sua positività viene stabilita nell’agosto 2010 dopo esami considerati dubbi e replicati, malgrado i Coggins sempre negativi. Ma Annarosa non ci sta: “Ho capito subito che non aveva senso. Rocket non è mai uscita dal nostro terreno. Solo una volta l’abbiamo portata in Toscana a un corso di doma dolce e non mi risulta che lì abbiano avuto episodi di malattia,” prosegue. “Questa cavallina ha aiutato la mia terza figlia a riprendersi da una grave operazione: ci hanno colpite al cuore.”
Deciso Gianluca Autorino, a capo del centro di riferimento per l’AIE presso l’Istituto Zooprofilattico della Toscana e del Lazio: “In casi poco chiari, nessuno mi vieta di eseguire un test aggiuntivo, moderno. Noi lavoriamo per prevenire.” Ma di quale diffusione si parla? “Non contagiosa, innocua per l’uomo, l’AIE può trasmettersi attraverso puntura di insetti o l’uso di siringhe infette fra animali con viremia alta,” spiega Fabrizio Passamonti, docente di Malattie infettive negli animali domestici presso l’Università degli studi di Perugia.
Nel 2009 in Italia la prevalenza dell’AIE era lo 0,14%, solo 117 casi di nuova positività nel 2011, perlopiù fra i muli dei tagliaboschi in Abruzzo e nel Lazio: “Il Coggins resiste da 40 anni perché non dà mai falsi positivi, può peccare di sensibilità se il livello degli anticorpi è basso. Ma in una situazione così tranquilla non vedo il senso di spaccare il capello in quattro.”
“Ho comprato Marisa e altri muli in Abruzzo nel 2006, negativa” racconta un piccolo allevatore di Vallepietra in provincia di Roma. “A casa, un anno e mezzo dopo, me la trovano positiva. Fra me e mio cugino abbiamo dovuto macellare dieci animali, belli e in salute. Pagati 4mila euro l’uno, quando il mattatoio te ne dà 100. Per due mule positive, Marisa e Monica, fui contattato dal dr Autorino attraverso la Asl di Arsoli. Mi offrì 300 euro ciascuna se le cedevo alla sperimentazione. Accettai.” Un progetto finanziato dallo stesso Ministero della Sanità presso l’azienda Le Scalette ad Aprilia, che coinvolse 11 muli: “Prelievi di sangue per sei mesi,” spiega Autorino “poi li abbiamo inviati al macello”. Impossibile, al momento, ottenere chiarimenti dai dirigenti ministeriali riguardo la necessità del progetto e le modalità di soppressione, differenti dall’eutanasia etica riservata di legge alle cavie.
“E’ scandaloso. Nella nostra sede a Montaione, vicino Firenze, ospitiamo 7 cavalli positivi e da due anni chiediamo di diventare osservatorio nazionale per l’AIE,” dice Sonny Richichi. “Da noi si possono studiare animali liberi, felici e in ottima salute: il Ministero non ci ha mai risposto.” 26 aprile 2012
Così lo sport di Ribot e Varenne si è autodistrutto perdendo le scommesse
L’ex ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali nel 2011 ha tagliato i fondi per l’ippica. Dei 370 milioni aggredibili all’Agricoltura, Francesco Saverio Romano ne ha tolti 150 allo sport. Poi, tra mille ‘intoppi’, ha istituito l’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, levandole però il controllo delle giocate
Perché una disciplina storica è sull’orlo del crac? E per colpa di chi? L’ippica di Ribot e Varenne, da gran premio e da esportazione, ci ha messo vent’anni, gli ultimi, per autodistruggersi. Il penultimo ministro, il Responsabile Francesco Saverio Romano, che a Palermo deve difendersi dall’accusa di aver protetto la latitanza di Bernardo Provenzano (è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata), nel tardo 2011 ha pilotato contro la vecchia ippica un taglio lineare tremontiano: 150 milioni, ossigeno puro.
In contemporanea ha chiuso l’Unire (Incremento razze) e l’ha sostituito con l’Assi, Agenzia per lo sviluppo del settore ippico. Nove mesi dopo, non avendole dato statuto né regolamenti, l’agenzia è un’istituzione inerme.
GLI UOMINI DELL’EX MINISTRO
Con la sua opera demolitoria, Romano ha sottratto all’ippica anche il controllo delle giocate. “La devoluzione dei compiti connessi all’organizzazione delle scommesse”, si legge nel decreto firmato, “va all’Aams”. Tutto in mano ai Monopoli di Stato e alle sue concessionarie (Snai, Sisal, Lottomatica), che hanno contribuito alla crisi dello sport facendogli crescere intorno giochi più remunerativi.
L’ex ministro, che possiede un’immobiliare di famiglia e ha quote in altre due, ha nominato un plotone di uomini fidati in punti cardine. Tre medici, un avvocato e un commercialista a UnireLab srl, il laboratorio antidoping. Quaranta legali, molti siciliani, tra la procura e le due commissioni disciplinari. Per chiudere, Romano ha messo alla guida dell’Assi Francesco Ruffo della Scaletta, altro sangue blu dell’ippica italiana.
Il nuovo segretario generale ha organizzato la carriera di Varenne ed è stato manager di lungo corso della Snai, “il concessionario”. Infatti, non ha lottato un minuto per mantenere le scommesse negli uffici pubblici. Per 39 giorni Ruffo è stato dirigente Snai attività ippiche e sub commissario Unire tenendo sullo stesso palmo la gestione privata delle puntate e il controllo pubblico del carrozzone.
Dal 2003 al maggio 2011 è stato nel Consiglio d’amministrazione della Hippogroup Roma Capannelle spa e presidente-amministratore-consulente della Trenno spa. Ecco, la Trenno è la società che gestisce per conto Snai l’ippodromo di San Siro, di cui abbiamo visto i progetti calcistici. Hippogroup, invece, controlla cinque impianti pubblici e privati e sta spingendo l’ippica agonistica nell’era degli ippodromi allestiti come astronavi del gioco. Ruffo fino all’anno scorso è stato anche consigliere dell’Alfea, ippodromo di Pisa (struttura salvata).
Il nuovo segretario, sì, sembra realizzare il mandato dell’ex ministro Romano: smagrire l’ippica italiana e consegnarla ai privati più forti, gli amici Snai-Sisal. Il lavoro grosso, d’altronde, l’aveva fatto l’amico Guido Melzi d’Eril, già commissario-presidente-segretario dell’Unire. Smessi gli abiti pubblici, oggi amministra il ramo torinese di Hippogroup. Controlla Capannelle, dove Ruffo è stato consigliere e dove in quota c’è Snai. Le carriere imprenditoriali di Ruffo e Melzi D’Eril si erano incrociate nella Lexorfin, cassaforte degli ippodromi Hippogroup. Insieme, ora, stanno sfilando l’ippica dalle mani di allevatori e driver per consegnarla deprezzata ai giganti del gioco. E campare di rendita con il suo simulacro.
Il progetto “ippodromi d’élite” era nato all’inizio del Duemila, con Gianni Alemanno ministro e Franco Panzironi segretario Unire. E’ in quegli negli anni che si affina la possibilità d’intervento dei grandi scommettitori: Snai ha sempre sostenuto l’uomo emergente della destra romana e ha finanziato la sua campagna a sindaco. Sotto Alemanno-Panzironi sono avvenute le letali transazioni sui minimi garantiti (850 milioni regalati alle agenzie di scommesse) e sui canoni di diritti televisivi (120 milioni persi sempre a favore di Snai e Sisal). Ancora, è questione recente, fra le tre imprese del gioco concorrenti c’è stato uno scambio di manager e amministratori che oggi rende le spa più vicine, meno conflittuali.
La nuova Lega dell’ippica, ente di diritto privato, per gestire i nuovi ippodromi-casinò chiede la defiscalizzazione della giocata e l’esenzione dell’Iva. Chiede di raccogliere in proprio il 10 per cento delle scommesse e progettare nuovi azzardi. Allo Stato lascerà cassintegrati e animali zoppi: “Servono ammortizzatori per incentivare l’uscita o la riconversione di uomini, cavalli, ippodromi non più funzionali”. E per gli ippodromi non funzionali sono pronte le betoniere e le impastatrici.
Repubblica – 30 aprile 2012