Gli italiani continuano ad amare molto la cara, vecchia, rassicurante laurea. La stragrande maggioranza pensa che «l’obbligo di possedere uno specifico titolo di studio per poter esercitare una determinata professione» sia una garanzia per il cliente «che potrebbe non essere in grado di verificare da solo la qualità della prestazione». Insomma, il valore legale della laurea rappresenta ancora una certezza per chi si affaccia sul nostro difficilissimo mercato del lavoro. Lo dimostrano i primi risultati della consultazione pubblica online sul sito del dicastero nell’esperimento-pilota voluto dal ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e fortemente caldeggiato anche dal presidente del Consiglio Mario Monti proprio dopo il dibattito apertosi a gennaio in Consiglio dei ministri sul valore legale del titolo di studio.
La «votazione» è cominciata giovedì 22 marzo, sulla base di un formulario con quindici quesiti messi a punto da un gruppo di lavoro del ministero diretto dal Capo di gabinetto Luigi Fiorentino. Si concluderà martedì 24 aprile ma i dati sono già consolidati in base alle 20.089 risposte complete inoltrate (su 31.282 registrazioni iniziali). Il ministro Profumo, dicono al ministero, ha voluto un «voto» il più possibile ampio: per registrarsi basta indicare il solo codice fiscale. E su questa base più di 15 mila partecipanti alla consultazione, il 75%, si sono espressi a favore del riconoscimento del valore legale della laurea, e più di 11 mila pensano che sia giusto dover avere il «pezzo di carta» per accedere al pubblico impiego. Il Veneto è leggermente sotto la media, ma per il 70,7% il è necessario il titolo si studio per poter esercitare una professione.
Il ministro Profumo ha detto che non ritiene tutto questo «né un referendum né tantomeno un sondaggio scientifico» ma solo un indicatore di tendenza, un modo per dare voce a chi è interessato al problema aprendo uno «spazio libero di dibattito e di discussione» sia sul futuro dell’istruzione in Italia che sul futuro modello di sviluppo del Paese: si discute anche su Facebook e su Twitter (c’è il rinvio sul sito) e lì il dicastero non è presente in alcun modo. Lo strumento era stato duramente contestato dall’Udu, l’Unione degli universitari («una mistificazione di massa») e soprattutto dalla Flc-Cgil («un sondaggio farsa concepito per predeterminare gli esiti a favore di ciò che impropriamente viene definito il “valore legale della laurea”»). Invece i risultati hanno svelato un esito diametralmente opposto, assolutamente favorevole al valore legale della laurea e chi è vicino al ministro descrive il suo rammarico di aver visto un importante sindacato impegnato in una polemica senza vedere (almeno questa è la posizione del ministero) lo sforzo di liberarsi dalle vecchie abitudini di una macchina oggettivamente elefantiaca come il ministero dell’Istruzione.
Dopo il 23 aprile verranno rielaborati tutti i dati e spariranno le risposte di alcuni probabili e previsti casi di «invenzione» del codice fiscale (c’è chi si è divertito a far votare Pluto, Paperino o Napoleone III). Verranno anche esaminati e computati i campi facoltativi della scheda di iscrizione: età, condizione sociale, provenienza geografica. E lì si capirà (parzialmente, proprio perché non è obbligatorio «descriversi» per partecipare) quanti professori, studenti, ricercatori, lavoratori dipendenti, operai o commercianti abbiano partecipato.
Cifre da commentare, comunque. Per esempio, da un ironico Tullio De Mauro, grande linguista, ex ministro dell’Istruzione tra l’aprile 2000 e il giugno 2001 nel II governo Amato: «Direi che l’università italiana è un malato terminale. Profumo vorrebbe in qualche modo staccare la spina ma la gente non vuole saperne…». Il professore, 80 anni appena compiuti, prosegue un po’ sul filo del paradosso: «Sì, gli italiani stimano molto la laurea, lo dimostra quel mercato di falsi diplomi che ho seguito con attenzione lungo gli anni e non accenna a finire. Se si è disposti a pagare salato pur di avere una laurea, anche se falsa, significa che quel pezzo di carta è tenuto in massima considerazione». De Mauro comunque contesta anche il senso stesso della «cancellazione del valore legale»: «Non mi sembra sia possibile immaginare di agire con un semplice colpo di spugna. La laurea vale per un vasto numero di aree, spesso regolamentate in modo diverso. Concordo con Sabino Cassese quando dice che non si capisce, alla fine, cosa significhi davvero questa abolizione». De Mauro, ovviamente, fa risalire nel tempo la crisi dell’università, quindi del «peso» della laurea: «Una memorabile risposta di Andreotti svelò cosa decise di fare la Dc ai tempi del centrosinistra, “la lasciammo cuocere nel suo brodo”… Quel brodo si è progressivamente ridotto, soprattutto in termini di risorse, arrivando all’attuale atrofia. Ma, come ho detto, gli italiani non vogliono staccare la spina…».
Dice anche Attilio Oliva, presidente di TreeLLLe-per una società dell’apprendimento continuo (che da anni si occupa di miglioramento della qualità dell’education nel nostro Paese): «Da generazioni gli italiani sono abituati a un’autorità capace di certificare qualcosa che il cittadino potrà spendere. Il culto della “targa” è stato interiorizzato, insomma: è il richiamo all’imparzialità e all’oggettività dei voti conseguiti e degli esami superati prescindendo non solo dall’esame di merito sulle attitudini e sulle qualità del singolo ma anche sulla qualità della laurea. La Bocconi o un ateneo sconosciuto di chissà dove valgono lo stesso, nei concorsi: e sappiamo benissimo che non è così».
Ma così non si rischia di umiliare il vero merito? «Questi dati mostrano lo scontro tra due culture. La “certificazione”, cara ai mediocri, e la voglia del confronto sul mercato, tipica di chi vale». Si arriverà mai ad abolire il valore legale della laurea? «Domanda difficile, vedo fior di intellettuali accapigliarsi. Mi sembra ci sia una lunga catena di altre condizioni e regole da affrontare. Un problema intricato. Per questo la soluzione non mi appare semplice…». Intanto, ed è l’unica certezza, gli italiani continuano a coltivare il Mito della Laurea.
Corriere.it – 23 aprile 2012