Sette mesi per sferrare la controffensiva. Le casse di previdenza di quasi 2 milioni di professionisti italiani hanno tempo fino al 30 settembre per convincere il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, di essere capaci di resistere in equilibrio alle trasformazioni dei prossimi 50 anni: 220 giorni per tentare di dimostrare, conti alla mano, la solidità dei bilanci e delle prospettive dei saldi futuri. E la preoccupazione è palpabile. Anche perché tutti sono consapevoli che, comunque vada, le pensioni di domani saranno notevolmente ridotte rispetto a quelle di oggi, e arriveranno a coprire al massimo poco più del 50% del reddito. Qualche primo punto a favore le casse lo hanno comunque già segnato. Leggi il servizio completo del Mondo con le tabelle e i numeri dell’Enpav e di tutti gli altri istituti di previdenza dei professionisti
Rispetto alle prime ipotesi di interpretazione delle nuove norme, contenute nel comma 24 dell’articolo 24 del decreto salva-Italia, alcuni spiragli si sono aperti. Prima di tutto, la scadenza originaria di fine marzo è diventata appunto fine settembre nell’ultima versione del Milleproroghe. È inoltre passato in Parlamento un ordine del giorno bipartisan, fatto proprio dal governo, che impegna a tener conto dei patrimoni nella valutazione della stabilità nel tempo delle casse. Il Consiglio nazionale degli attuati, guidato da Giampaolo Crenca, a metà gennaio ha invece scritto una lettera al premier Mario Monti e al ministro Fomero per ricordare che, in base alle linee guida per le valutazioni dei conti degli enti di previdenza e all’approccio utilizzato anche a livello internazionale, i bilanci tecnici «non possono limitarsi alle entrate contributive e alla spesa per le prestazioni pensionistiche, ma devono necessariamente estendersi ad altri elementi quali il patrimonio, i relativi interessi e le spese di amministrazione», sottolineando come l’obiettivo sia di indagare sulla «stabilità prospettica della gestione», ovvero sull’equilibrio tendenziale e non puntuale. Infine, anche Fornero ha dichiarato in incontri istituzionali che nella valutazione delle casse saranno comprese le plusvalenze finanziarie. «Del resto, nella nuova norma non c’è scritto che non vada usato il patrimonio», conferma Marco Micocci, ordinario di matematica finanziaria e attuariale all’università di Cagliari e alla Luiss e direttore scientifico del centro studi dell’Adepp, l’associazione che riunisce le casse dei professionisti, «mentre nelle vecchie regole, che ponevano l’orizzonte a 30 anni, l’interpretazione dei ministeri prevedeva anche i capitali accantonati e i loro rendimenti. Oggi si vuole far passare una lettura più restrittiva, ma qualsiasi tecnico interpreta l’equilibrio pure con il patrimonio». Ferma restando la regola di dover tenere a riserva cinque annualità delle pensioni correnti.
INCUBO RETRIBUTIVO Nonostante questo, la fibrillazione è diffusa tra i board degli enti previdenziali. Anche perché in ballo non ci sono solo le prime drastiche punizioni previste dal decreto: tassa dell’1% sulle pensioni in essere per il 2012 e il 2013 e passaggio al contributivo puro. Che, peraltro, non in tutti i casi si rileverebbe risolutore. Anzi. Per i notai, per esempio, significherebbe far saltare la pensione fissa a 96.600 euro, non correlata ai reali guadagni, con un più che probabile aumento degli assegni mensili. Per chi è già nel sistema contributivo, come tutti gli enti più giovani e, tra i vecchi, ragionieri e veterinari, non cambierebbe nulla. Mentre per altri, come i giornalisti, farebbe sparire il meccanismo di solidarietà che oggi riduce la rivalutazione per chi ha redditi elevati a favore di chi li ha più bassi: i pensionati dei prossimi sei-sette anni, che hanno guadagni alti, prenderebbe ro una pensione più ricca, quelli di domani, che già soffrono di stipendi ridotti, ci rimetterebbero due volte. Il timore più grande, però, è che l’obiettivo finale siano i patrimoni delle casse: un tesoretto da 50 miliardi, su cui da anni i politici di ogni schieramento hanno messo gli occhi e che in molti vorrebbero veder finire nei forzieri dell’Inps. Tutti gli enti si dicono pronti a resistere per conservare autonomia e soldi, in una battaglia che accomuna appunto le casse riunite nel sistema Adepp, ma che ognuna dovrà giocare per sé, su altrettanti tavoli separati che il governo aprirà una volta definiti, con decreto interministeria-le, i nuovi parametri dell’andamento economico in base ai quali proiettare i dati nei prossimi 50 anni.
RESPIRO CORTO Del resto, le casse sono molto diverse tra loro. Soprattutto quelle di più lunga storia, privatizzate con il decreto 509 del 1994 (le ultime nate sono invece state istituite con il decreto 103 del 1996). Hanno sl in comune la funzione di pagare le pensioni di base, quindi di essere sostitutive dell’Inps, e pure di attuare politiche di assistenza ulteriore verso gli iscritti, per esempio per spese sanitarie, polizze che coprono infortuni ed eventi straordinari, sussidi e ammortizzatori sociali (cedere tabella a pagina 64). Ma sono diverse per numero di aderenti, aliquote contributive, sistemi previdenziali, patrimoni, bilanci e, soprattutto, proiezioni attuariali. Rielaborando e aggiornando i dati che gli istituti avevano fornito ai ministeri competenti (Lavoro ed Economia) nel 2010, in base ai bilanci 2009, il quadro che emerge è fatto di luci e ombre. Il saldo corrente, ovvero quello tra entrate contributive più rendimento dei patrimoni rispetto alle uscite per le pensioni, resiste alla prova dei 50 anni solo in una manciata di casi. E c’è anche chi, senza interventi incisivi, corre il rischio di veder azzerato il patrimonio prima del fatidico 2062. La cassa dei ragionieri (Cnpr), per esempio, dal 2024 avrebbe un saldo previdenziale negativo, con il saldo corrente che resisterebbe fino al 2030 e il patrimonio pari a zero dal 2045. I:ente dei consulenti del lavoro (Enpacl) ha come date limite rispettivamente i12035, il 2040 e il 2054. Quello degli avvocati (Cassa forense) il 2036, i12040 e il 2057. Mentre Inarcassa (architetti e ingegneri) il 2035, il 2042 e il 2058. E anche chi, con i patrimoni, supera con facilità l’asticella del mezzo secolo, sul saldo corrente qualche pericolo lo corre, con l’eccezione della cassa dei farmacisti (Enpaf) e, in parte, dell’ente dei giornalisti (Inpgi) post riforma dello scorso anno, che nei prossimi 50 anni calcola un saldo previdenziale negativo tra il 2023 e il 2040 e corrente tra il 2031 e 2033, ma poi torna a un equilibrio positivo, senza però mai mettere in pericolo il patrimonio. «Sono ben pochi oggi gli enti in grado di garantire la sostenibilità a 50 anni», commenta Giorgio Jannone, commercialista e presidente Pdl della commissione parlamentare che vigila sulle casse e che ora ha in corso le audizioni sul tema. «Se si guarda in là nel tempo, è innegabile lo stato di allarme. C’è tanto da lavorare. Mentre va meglio nel breve periodo». La fotografia di oggi, com’è disegnata dai bilanci 2010 (gli ultimi disponibili), appare in effetti decisamente migliore, nonostante si riferisca a un annodi crisi profondissima dell’economia italiana e dei compensi dei professionisti (vedere riquadro a pagina 61), con gli iscritti in diminuzione per più di una cassa e le prestazioni, cioè le pensioni erogate, in aumento (vedere tabella in alto). Eppure, il rapporto tra i due valori si è mantenuto per tutti ampiamente sopra il numero uno (con punte elevate per gli enti 103, più giovani e con pochissimi pensionati). «Per confronto tra iscritti e pensioni siamo in una sorta di eden previdenziale», considera Micocci. «Nei sistemi che pagano le pensioni di base nei Paesi maturi il rapporto è in genere molto più basso». E anche le uscite per prestazioni sono state nell’anno comunque inferiori alle entrate per i contributi versati.
Il Mondo del 2 marzo 2012- 24 febbraio 2012