Intervista di Margherita De Bac sul Corriere della Sera di domenica al ministro Balduzzi. «La fase transitoria è finita. Adesso con la libera professione dei medici si fa sul serio». Come padre della Riforma sanitaria che nel 1999 ha cambiato la vita dei camici bianchi pubblici, il ministro della Salute Renato Balduzzi vuole spingere l’acceleratore per completare il progetto nato quando era capo dell’ufficio legale dell’ex ministro Rosy Bindi. «Non ci saranno altre deroghe», annuncia mentre i sindacati chiedono di prorogare la cosiddetta «intramoenia allargata» da lui definita «modalità contraddittoria». In parole semplici: il medico che sceglie il rapporto in esclusiva col servizio sanitario, se l’ospedale non ha spazi per l’attività privata (intramoenia), continua a visitare nel suo studio.
Il decreto Milleproroghe stabiliva che il doppio regime fosse prolungato fino al 31 dicembre del 2012. Un emendamento del Pd approvato in Senato ha invece anticipato la scadenza al 30 giugno.
Ministro, niente più deroghe?
«Le commissioni parlamentari hanno manifestato la volontà di superare la fase transitoria e il governo è tenuto a conformarsi. Occorre trovare una soluzione. Aspettiamo proposte. L’importante è non generare guerre fra bande. Ma l’equilibrio non si ottiene con un’altra deroga».
In 13 anni solo il 50% degli ospedali hanno organizzato la vera libera professione intramuraria. Ora mancano 4 mesi.
«Vedo il bicchiere mezzo pieno. Il 50% delle strutture ha rispettato i diritti del cittadino che secondo la Costituzione deve poter scegliere chi lo cura. In 13 anni il sistema si è assestato, ha trovato modelli di riferimento. Siamo pronti».
Riscriverebbe la norma sulla libera professione intramuraria?
«L’obiettivo era che il medico si identificasse con l’ospedale e questo è avvenuto nelle aziende che hanno organizzato spazi interni. Dunque bisogna completare il cammino. Le critiche riguardano il pericolo che si creino due canali, uno pubblico l’altro privato. Se l’intramoenia è applicata correttamente, con regole di trasparenza, controllo dei volumi di prestazioni private e liste di attesa, funziona perché fidelizza il medico. Inoltre la regola era stata pensata affinché l’esclusività fosse una discriminante per l’affidamento di incarichi a medici legati all’azienda».
La politica governa i concorsi per primari. Come intervenire?
«Occorre una graduatoria dei candidati, anziché una terna. Il direttore generale sceglierà motivando la decisione. Proporrò un emendamento alla legge sul governo clinico. La commissione giudicante sarà presieduta dal direttore sanitario dell’azienda e due primari sorteggiati. Un elemento di garanzia. Dobbiamo però fare attenzione a non scardinare il principio dell’aziendalizzazione. Chi ha responsabilità deve mantenere il potere di circondarsi di persone di fiducia».
Pazienti visitati per terra al pronto soccorso del San Camillo di Roma. Perché?
«Manca il collegamento con i servizi territoriali. Il pronto soccorso è il terminale dell’inefficienza di una rete e risente di un atteggiamento errato. Viene considerato un luogo dove correre per qualsiasi problema. Nel prossimo Patto della Salute dobbiamo prevedere che la rete dei medici di famiglia funzioni sette giorni la settimana anziché cinque. Il principio della continuità delle cure è riportato in tutti i contratti, ma è rimasto sulla carta. Il cittadino deve capire che l’ospedale serve per problemi seri, non per l’influenza».
I piani di rientro delle Regioni, come il Lazio, vengono approvati dal governo. Non condividete le responsabilità?
«Le Regioni non sono obbligate a tagliare in modo indiscriminato i posti letto né ad applicare trasversalmente il blocco del turn over. Il sistema va in tilt quando il piano viene interpretato come un intervento di rientro economico e non di riorganizzazione».
Liberalizzazioni. Le aziende farmaceutiche contestano la norma sull’obbligo da parte del medico di indicare nella prescrizione il farmaco equivalente di minor costo. Tornerete indietro?
«Abbiamo già chiarito che potrà essere indicata la non sostituibilità. Se le aziende temono di dover tagliare linee di produzioni e dipendenti, perché non abbassano il prezzo dei medicinali fuori brevetto allineandoli agli equivalenti?».
mdebac@corriere.it – 19 febbraio 2012