Con la sentenza n. 615/2011 del 22 novembre la II Sezione giurisdizionale centrale della Colte dei conti si è occupata, quale giudice d’appello, dei profili di responsabilità amministrativa conseguenti alla violazione delle norme sull’attività libero-professionale da parte dei medici Ssn. La sentenza di primo grado (Corte conti, Sez. giur. Umbria, n. 492005) aveva accertato che un medico in servizio presso un ospedale umbro, professore universitario di ruolo, aveva reso le proprie prestazioni, per un periodo significativo, in una clinica privata di Roma. Il sanitario, tuttavia, era legato all’azienda ospedaliera di appartenenza da un rapporto di lavoro esclusivo.
Poteva dunque esercitare la libera professione nei soli casi stabiliti dalla legge, ossia nei limiti delle prestazioni intramoenia (alt 15-quinquies, Dlgs 502/1992), anche “allargata”.
Nella vicenda in esame, l’Ao aveva autorizzato il medico a esercitare tale attività esclusivamente nel proprio studio, sito nel territorio di competenza dell’azienda stessa. La circostanza che le prestazioni fossero state rese in tutt’altra sede aveva indotto i giudici di primo grado a ravvisare in capo al sanitario una violazione consapevole e volontaria degli obblighi di servizio, e a condannarlo a risarcire il danno cagionato al patrimonio e all’immagine dell’amministrazione.
La Sezione d’appello, adita dal medico, ha condiviso in linea generale tale inquadramento della vicenda, respingendo i rilievi sollevati dall’appellante sull’attendibilità del materiale probatorio e ribadendo il carattere illecito della condotta accertata in primo grado. Quanto al danno, i giudici hanno fatto propria la tesi, già accolta in prime cure, per la quale il medico aveva arrecato all’Erario una lesione patrimoniale pari alla differenza tra la retribuzione percepita e quella che gli sarebbe spettata là dove avesse optato per l’extramoenia, dal momento che le sue prestazioni, rese al di fuori dei vincoli previsti per I’ intramuraria, non potevano che essere assimilate all’altra tipologia. E così, considerato che per i medici universitari «lo svolgimento di attività libero-professionale intramuraria comporta l’opzione per il tempo pieno e lo svolgimento dell’attività extramuraria comporta l’opzione per il tempo definito» (art. 5, comma 3, Dlgs 517/1999), la voce di danno è stata determinata in un importo pari alla differenza tra gli emolumenti erogati al medico (dall’ospedale e dall’Università) nel periodo di riferimento, calcolati secondo il criterio del tempo pieno, e quelli che gli sarebbero stati corrisposti in regime di tempo definito. L’appello è stato invece accolto in relazione al danno all’immagine dell’amministrazione, escluso anche in quanto si era trattato di un «illecito singolare e isolato».
Sole 24 Ore Sanità – 24 gennaio 2012