di Gianni Trovati (Dal Sole 24 Ore). È una platea composita quella che attende gli esiti del «monitoraggio» richiamato ieri alla Camera dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero, sugli esiti della riforma delle pensioni, e soprattutto sul grado di copertura da parte delle risorse stanziate per tutelare le categorie in difficoltà lavorativa. Mentre cancellava anzianità e «quote», infatti, la riscrittura delle regole previdenziali contenuta nel decreto «salva-Italia» si è preoccupata di mantenere le vecchie regole per un contingente di lavoratori in mobilità, in «mobilità lunga» o titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà.
Il contingente, prima fissato in 65mila persone, è stato poi collegato alle risorse rese disponibili dalla stessa manovra. E cioè 240 milioni per il 2013, 630 per il 2014, un picco da 1.220 milioni nel 2016 e poi a scendere negli anni successivi. Secondo il ministro questa dote dovrebbe essere sufficiente, ma l’ultima parola verrà dal decreto ministeriale che andrà scritto entro fine marzo alla luce degli esiti del monitoraggio richiamato oggi. Oltre ai lavoratori in mobilità, però, le attese alimentate dal dibattito delle ultime settimane riguardano anche altre categorie, richiamate anche dal premier Monti quando ha promesso nella conferenza stampa di fine anno il «massimo impegno» del Governo per evitare «situazioni di difficoltà economica» in «casi di criticità» diversi da quelli già contemplati in manovra. In prima fila, naturalmente, ci sono i lavoratori usciti dall’azienda a pochi passi dai vecchi requisiti, spesso con un incentivo economico che nei piani originari doveva essere destinato al versamento dei contributi mancanti. In alcuni casi, l’addio alle quote impone un rinvio fino a cinque anni, che per gli interessati rischiano di trasformarsi in un periodo di assenza di reddito difficile da sostenere. Sul tavolo ci sono poi le penalizzazioni sulla quota di assegno calcolata con il contributivo per chi va in pensione prima dei 62 anni, sfruttando il canale contributivo ritoccato dalla manovra. Le penalità (1% per gli ultimi due anni prima dei 62, 2% per gli anni precedenti) potrebbero essere riviste al ribasso, e nelle correzioni si dovrebbe tener conto anche di un “disallineamento” di genere. Per le lavoratrici, infatti, il canale contributivo crea il diritto alla pensione dopo 41 anni (e 1-3 mesi), mentre per gli uomini occorre un anno in più: alle donne, di conseguenza, viene riconosciuto uno sconto sui requisiti, che però rischia di essere pagato sul peso dell’assegno. Nel mirino dei critici è finito inoltre il «correttivo» che permette ai dipendenti privati che compiono 60 anni nel 2012 di andare in pensione con 64 anni senza attendere i 66 previsti dalle regole generali (purché raggiungano le vecchie «quote», se uomini, o abbiano almeno 20 anni di contributi, se donne). La via «eccezionale» non si rivolge alle nate nella prima metà del 1952, che possono andare in pensione nel 2015, e soprattutto esclude lavoratrici autonome e donne del pubblico impiego, che pure si vedono cambiare in modo importante i programmi previdenziali con l’addio alle anzianità. Resta da allineare, infine, l’innalzamento a 70 anni dell’età che permette il licenziamento per raggiunti requisiti previdenziali. Il richiamo all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, contenuto nella manovra, coinvolge solo le aziende sopra i 15 dipendenti, mentre per le altre il limite sembra rimanere fissato a 66 anni.
gianni. trovati@ilsole24ore.com – 12 gennaio 2012
INTERRUZIONE DEL RAPPORTO La manovra prevede l’applicazione delle vecchie regole previdenziali per un contingente di lavoratori in mobilità o titolari di «prestazioni straordinarie» per accordi entro il 4 dicembre. Nessuna deroga per i licenziati o i lavoratori usciti con incentivo individuale
«CORRETTIVO» PARZIALE Possibile il pensionamento a 64 anni peri dipendenti privati che compiono 60 anni entro il 2012 e perla stessa data centrano le vecchie «quote» (uomini) o hanno 20 annidi contributi (donne). Esclusi i lavoratori autonomi e i dipendenti pubblici
PENALIZZAZIONI Per le donne è possibile uscire con 41 anni (e 1-3 mesi) anziché 42, ma le penalità sull’assegno per gli under62 sono uguali per tutti
LIMITI DI ETÀ L’innalzamento a 70 anni che tutela dal licenziamento vale solo per le aziende con più di 15 dipendenti