Dal 1° gennaio gli aspiranti pensionati sono stati divisi, dalla manovra, in tre famiglie. Quelli che hanno raggiunto i requisiti nel 2011 e che devono solo attendere l’apertura delle vecchie finestre mobili (12 mesi per i dipendenti, 18 per gli autonomi); i dipendenti nel settore privato a un passo dai vecchi requisiti, che ottengono un piccolo sconto sulle nuove regole; infine gli altri lavoratori, che devono fare i conti con l’addio ad anzianità e quote e indirizzarsi verso la pensione «ordinaria» (66 anni di età dal 2012 per uomini e dipendenti pubbliche, età in crescita per le dipendenti private a 62 anni dal 2012, 63 e 6 mesi dal 2014, 65 dal 2015 e 66 dal 2016)
Per le autonome si richiedono 63 anni e 6 mesi dal 2012, 64 e 6 mesi dal 2014, 65 e 6 mesi dal 2016 e 66 dal 2018.
Nel frattempo, anche gli istituti previdenziali hanno parecchio lavoro per attrezzarsi a gestire il nuovo sistema. Il primo fronte caldo è quello delle «certificazioni» per chi ha raggiunto i requisiti nel 2011: il tema è molto sentito dai tanti diretti interessati, che nelle scorse settimane hanno affollato gli uffici locali di Inps e Inpdap, ma le modalità per la definizione del documento non sono ancora state fissate. Va ricordato, come hanno fatto i due istituti nelle loro note sul tema, che il diritto all’uscita con i requisiti pre-riforma è indipendente dalla certificazione, che ha «valore solo dichiarativo», ma la definizione della procedura è urgente anche per andare incontro a un’utenza “scossa” dall’infornata di nuove norme.
L’altro versante che richiede un adeguamento rapido, questa volta da parte di banche, Poste e Governo, è quello relativo ai 450mila pensionati attuali che da marzo non potranno più ricevere la pensione in contanti perché il loro trattamento supera i mille euro. Le Poste e alcuni istituti di credito hanno già iniziato a definire e comunicare le loro offerte ad hoc, ma quel che manca per definire il quadro delle regole è la convenzione quadro chiamata a indicare la clientela da tutelare con strumenti gratuiti e quella a cui riservare condizioni «favorevoli». La scadenza per stipulare la convenzione è fissata dalla legge al 28 marzo, ma i pensionati che incappano nel «no-cash» sono chiamati a comunicare la propria decisione sullo strumento alternativo entro febbraio.
Ci sono poi i ritocchi da apportare a livello normativo, annunciati dallo stesso presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa di fine anno. Due sono gli aspetti al centro dell’attenzione: chi ha visto interrompersi il proprio rapporto di lavoro, magari firmando un accordo individuale che prevedeva il pagamento volontario dei contributi mancanti per raggiungere i vecchi parametri, ora rischia di dover affrontare un lungo periodo senza reddito perché il diritto alla pensione si è allontanato e la salvaguardia sulle vecchie regole riguarda, per ora, solo una serie di lavoratori coinvolti, per esempio, in accordi collettivi sulla mobilità.
Qualche correttivo, poi, potrebbe affacciarsi sul sistema delle penalizzazioni per chi va in pensione prima dei 62 anni (taglio dell’1% sulla quota calcolata con il retributivo per gli ultimi due anni antecedenti ai 62, e del 2% sugli anni ulteriori di anticipo): il meccanismo colpisce i lavoratori «precoci», che hanno iniziato presto la loro vita contributiva e tra loro, in particolare, le donne, che possono andare in pensione anticipata un anno prima degli uomini ma in questo modo subiscono una penalizzazione peggiore.
gianni.trovati@ilsole24ore.com – 7 gennaio 2011