di Stefano Folli. Ai tempi dell’ultimo governo Prodi era abitudine dell’opposizione polemizzare e ironizzare con una certa grevità sulla pretesa dell’allora presidente del Consiglio di voler governare con uno o due voti di maggioranza.
Si contestava di fatto la legittimità di quell’esecutivo, se ne sottolineava la distanza dal cosiddetto Paese reale. Da oggi Berlusconi si trova in una condizione molto simile. Quei 316 voti racimolati dopo averne persi per strada almeno cinque, non sono una sorpresa: definiscono un risultato più che prevedibile. Però offrono l’immagine plastica di un’assoluta precarietà, in uno scenario politico ed economico molto degradato rispetto agli annidi Prodi. Senza alcun dubbio stiamo marciando verso le elezioni anticipate nel 2012, perché è impensabile che il castello di carte regga più di qualche mese, forse di qualche settimana. «E stata una vittoria di Pirro» era il commento più comune ieri a Montecitorio, condiviso in via riservata da quei parlamentari della maggioranza che non hanno smarrito il senso della realtà. Certo, c’è anche l’argomento di Cazzola e altri: «Meglio una vittoria di Pirro che una sconfitta». Banale, in apparenza, ma vero. Numerosi de- Un risultato che non scioglie i nodi U significato dei voto La fiducia sul filo non rilancia la credibilità VOTO PIÙ VICINO Senza alcun dubbio stiamo marciando verso le elezioni anticipate nel 2012 perché è difficile che il castello di carte regga più di qualche mese putati del Pdl hanno votato perché vincere male è comunque preferibile a una disfatta. E dopo diciassette anni di berlusconismo non è facile per nessuno archiviare sul piano formale una stagione peraltro già conclusa nella sostanza. Soprattutto quando non c’è un’alternativa praticabile e la prospettiva è di finire nel limbo del «gruppo misto» in attesa degli eventi. Quel che è certo, questa fiducia è solo un cerotto sulle ferite e le contraddizioni della maggioranza. Si è trattato di una «verifica» parlamentare che ha verificato poco o niente perché non ha risolto alcuna questione di fondo. E infatti il decreto sviluppo è ancora in alto mare, mentre si è proceduto subito alla nomina di due nuovi viceministri e un sottosegretario. Tre poltrone abbastanza inutili. E tutto il resto? Sull’unica nomina che invece sarebbe urgente, quella del governatore della Banca d’Italia, il premier ha confidato al capo dello Stato le sue «persistenti difficoltà». Una frase inquietante che si attaglia anche ad altri capitoli dell’agenda politica. È la prova che la fiducia è solo uno schermo effimero sul nulla. Mentre sul tavolo c’è il punto della credibilità complessiva del governo posto nei giorni scorsi da Napolitano e ribadito ieri sera. Ne deriva che il passaggio parlamentare è servito solo a Berlusconi: è stata una verifica «ad personam», nella quale il premier ha agitato la paura del salto nel buio e una volta di più è riuscito ad allineare dietro di sé il suo partito e la Lega, cioè Bossi. Ma la capacità propulsiva e di attrazione è finita, la luce sembra essersi spenta. Nonostante tutte le lusinghe, è cominciato il cammino inverso: chi si è staccato (anche parlamentari di antica lealtà, come Giustina Destro), chi ha votato di malavoglia «per l’ultima volta». Mai come in queste ore la Camera ha dato l’impressione di essere inadeguata rispetto all’enormità dei problemi economici e sociali che gravano sull’Italia. Una fortezza remota e abbastanza sorda, chiusa in un gioco di palazzo che l’opinione pubblica non solo non comprende, ma guarda con crescente fastidio. E questo vale in buona misura anche per l’opposizione. Che non esce rinvigorita dallo scontro parlamentare. Se quella di Berlusconi è una vittoria di Pirro, quella offerta dall’opposizione è una prova di debolezza. I fuochi d’artificio (l’Aventino, il tira e molla sul numero legale) sono stati fantasiosi, ma in termini politici sterili. Perché gli oppositori del governo non riescono a fare l’unico passo avanti che sarebbe utile: dimostrare agli elettori che esiste un’alternativa al centrodestra. Un’alternativa in grado di andare al governo sulla base di proposte riconoscibili e di ricette più efficaci di quelle del trittico Berlusconi-Bossi-Tremonti. Ma così non è. Insistere per il secondo giorno consecutivo nella polemica contro i radicali (questa volta rei di aver votato alla prima chiama), significa avvitarsi nelle manovre procedurali, nonché dimostrare una chiusura mentale e politica verso un gruppo, il partito di Pannella ed Emma Bonino, che per tradizione non è omologabile. E di ciò il centrosinistra dovrebbe essere il primo a rallegrarsi.
Quanto a Pierferdinando Casini, l’affanno crescente del centrodestra lo incoraggia. Ma ora dovrà dimostrare agli elettori moderati che l’abbraccio con l’asse Bersani-Di Pietro-Vendola è solo tattico, un’esigenza imposta dalla guerra a Berlusconi. In un certo senso anche per Casini, come per il «terzo polo», ieri è cominciata una lunga campagna elettorale. In cui occorrerà essere molto abili per non sbagliare la posizione e il messaggio agli elettori.
Ilsole24ore.com – 15 ottobre 2011