«Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità». Sotto questo titolo, la manovra attuata dal governo introduce, all’articolo 8, importanti novità nella disciplina del lavoro, portando in primo piano la contrattazione di secondo livello. Si oltrepassano così anche i termini dell’accordo siglato dalle parti sociali (Cgil compresa) il 28 giugno scorso già fortemente innovativi. La normativa ha incontrato dure critiche da parte dell’opposizione e della Cgil, ma forti dubbi restano anche al Quirinale. A questo si aggiunga che non sembra che la Bce abbia chiesto misure specifiche di questa portata.
Contratti di prossimità. Finora si era parlato di contratti aziendali, territoriali o di secondo livello. Ora l’uso del termine «contratto di prossimità» esprime il cambio di passo. Rispetto alle intese derogatorie al contratto nazionale, cui faceva riferimento l’accordo interconfederale di giugno, qui siamo di fronte a un tipo di contratto aziendale o territoriale che è in grado di cambiare il sistema delle regole del lavoro.
Derogabilità. La nuova normativa stabilisce che i contratti collettivi nazionali possono essere derogati da «contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011». Nella sua prima versione il riferimento alle norme di legge e all’accordo interconfederale era assente. In questo modo mancava un criterio certo per individuare la rappresentatività dei sindacati. In teoria gli accordi avrebbero potuto essere sottoscritti da sindacati minoritari o «gialli», creatisi appositamente per approvare l’intesa. Curiosamente non si faceva riferimento neanche all’accordo di giugno che meticolosamente fissa una soglia di rappresentatività. Ora invece si specifica anche che le deroghe possono essere efficaci erga omnes (nei confronti di tutti) «a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali». Resta che solo alle intese derogatorie precedenti all’entrata in vigore del decreto, cui si dispone che venga applicato retroattivamente il decreto (vedi Fiat), si richieda un requisito in più: che siano state approvate dalla maggioranza dei lavoratori.
Finalità. Questi contratti dunque «possono realizzare specifiche intese» purché «finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività». In sostanza le deroghe non potranno essere contenute in un accordo qualsiasi o essere intese semplicemente derogatorie. La legge richiede che vengano inserite in accordi dal contenuto più ampio, che abbiano delle finalità specifiche, quelle che vengono elencate, che sono in genere legate allo sviluppo dell’attività di impresa o alla gestione di una crisi. Inoltre resta fermo «il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro».
Materie. Le materie «inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione» su cui il contratto di prossimità può intervenire sono tra gli oggetti di maggior polemica. Prima di tutto perché si allarga oltremodo l’ambito di intervento compreso nell’intesa di giugno, superando dunque la volontà espressa dalle parti. E poi perché sono toccate tematiche delicate, coperte dallo Statuto dei lavoratori, come il licenziamento (art. 18) e la videosorveglianza (art. 4).
Licenziamenti. I contratti di prossimità potranno disciplinare «la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro» e «le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro». Dunque quello che cambia non sono le regole del recesso: per licenziare in un azienda con più di 15 dipendenti servirà sempre la giusta causa o il giustificato motivo di licenziamento. Ma il contratto di prossimità potrebbe stabilire che il lavoratore che è stato licenziato ingiustamente anziché ottenere il reintegro, come è previsto ora, ottenga solo un risarcimento. Gli ultimi emendamenti alla manovra hanno precisato l’impossibilità di derogare alle norme sul licenziamento discriminatorio e a quelle sui congedi matrimoniali e di maternità. Ma l’interrogativo di fondo resta: la contrattazione aziendale può derogare ai contratti nazionali, ma può derogare anche alla legge, a partire dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? Sul punto è attesa la giurisprudenza.
Corriere.it – 8 settembre 2011