«Tremonti ha trovato un’idea sul Tfr per il raddoppio dello stipendio dei lavoratori». Aveva detto sibillino Umberto Bossi, all’indomani dell’approvazione della manovra, per risollevare gli animi depressi, senza però aggiungere di più. Poi ci è tornato anche nel comizio di Ferragosto da Ponte di Legno: «Avrete una grande sorpresa tra poco, il Tfr in busta paga, prima che scompaia anche quello ». E anche il ministro Roberto Calderoli qualche giorno fa aveva evocato un «intervento» per «mettere liquidità nel sistema». La «sorpresa», come la chiama il leader del Carroccio, cui stanno lavorando Tesoro ed enti previdenziali è un incremento mese per mese in busta paga — chiarisce una fonte — pari all’accantonamento mensile per la liquidazione: circa il 7% dello stipendio lordo.
A conti fatti come avere uno stipendio in più ogni anno. Una quattordicesima, per quelli che non ce l’hanno, o una quindicesima mensilità. Si tratta, dunque, di una terza via alla destinazione del Tfr: direttamente al lavoratore, per portare — questa la ratio — liquidità in più alle famiglie, provare a stimolare i consumi, dando così un’accelerata alla crescita. Quello che era nato sotto il fascismo come ammortizzatore sociale in caso di cessazione improvvisa del rapporto di lavoro, e che rimane un unicum nel trattamento previdenziale occidentale, potrebbe quindi svuotarsi completamente e definitivamente della sua funzione diventando una voce del salario.
Dal 2007, secondo quanto stabilito dal governo Prodi, ministro era Tommaso Padoa-Schioppa, sta ai lavoratori scegliere se destinare l’accantonamento del Tfr all’Inps (all’azienda, se sotto i 50 dipendenti), per vedersi erogata la liquidazione al momento della cessazione dal servizio, o a fondi pensione, e costituirsi così un secondo trattamento pensionistico, da affiancare a quello obbligatorio. Se la proposta verrà approvata, accanto al «secondo pilastro» previdenziale, per garantire agli anziani di domani pensioni di importo adeguato, se ne costruirebbe un terzo: non solo edificare per la vecchiaia, ma puntellare il presente.
Rimangono diverse questioni da approfondire. Chiarire, per esempio, se convenga spalmare in busta paga l’accantonamento o concentrarlo in un’unica soluzione. Va quindi studiato il modo per non far pesare troppo la scelta sulle aziende sotto i 50 dipendenti, togliendo liquidità su cui su cui le piccole imprese fanno gran affidamento. La soluzione ventilata — quindi — potrebbe essere un accordo con l’Abi o la Cassa Depositi Prestiti.
Se questa è ancora una soluzione allo studio, emergono i dettagli e i saldi della manovra dalla relazione tecnica allegata. Saranno 19 mila gli statali che, scegliendo il pensionamento anticipato nel 2012, per avere piena disponibilità di quel «tesoretto » accumulato in una vita dovranno aspettare due anni in più. Mentre tra i 16.500 e i 35 mila i pubblici dipendenti che maturano l’età per la pensione di vecchiaia — secondo quanto previsto nella manovra bis—attenderanno sei mesi per la liquidazione. Nel 2013 a raggiungere le soglie di pensionamento saranno in meno, «per effetto dell’innalzamento dei requisiti previsti, per ritornare a livelli attorno ai 21 mila/22 mila nel 2014». Secondo i calcoli riportati, se l’importo medio complessivo della liquidazione è pari a circa 63 mila euro (considerando i diversi comparti), per le cifre di cui sopra, si otterranno risparmi in termini di indebitamento netto pari a 330 milioni di euro nel 2012, un miliardo nel 2013, 723 milioni nel 2014, 307 milioni nel 2015.
Corriere.it – 17 agosto 2011