L’Aivemp e il capo dipartimento della sanità pubblica veterinaria, Romano Marabelli, affrontano sul numero di luglio della newsletter dell’associazione il tema della comunicazione delle emergenze alimentari. E molte delle argomentazioni svolte nell’editoriale sono più che condivisibili. Solo appare curioso un certo scollamento tra le valutazioni riservate, da una parte, alla gestione della crisi alimentare in Germania e, dall’altra, a come è stata organizzata la comunicazione dell’emergenza in Italia. Facciamo una premessa. In Germania l’epidemia ha avuto conseguenze gravissime in termini di vite umane, in Italia non si è verificata alcuna vera criticità, per fortuna.
Nessun parallelismo è possibile quindi, se non su come, in entrambi i paesi, è stata gestita la “comunicazione del rischio”.
Scrive il foglio dell’Aivemp, che l’errore della Germania è stato quello di incriminare due prodotti alimentari senza averne le conferme analitiche. Vero. Mentre, continua, le istituzioni italiane avrebbero, sempre secondo chi scrive, comunicato bene, evitando tali errori.
Deve farmi difetto sicuramente la memoria allora. Perché io ricordo una notizia strombazzata al telegiornale delle 20 che annunciava il sequestro di 97 tonnellate di hamburger della Lidl da parte dei Nas (operazione effettuata appena mezz’ora prima del Tg). E questo senza uno straccio di allerta che potesse giustificarlo. Non si discute: il principio della massima precauzione andava senz’altro applicato, ma con senso di responsabilità. Perché non si è pensato di bloccare tutte le merci, fare le analisi e annunciare solo dopo i risultati sui giornali e in televisione? Ricordiamoci che accusare senza prove, prima ancora dell’esito delle analisi, una determinata ditta, con nome e cognome, espone a possibili richieste risarcitorie. Ma il punto non è solo questo. Passato il turbine degli interventi ad effetto dei militari e dei comunicati ministeriali, tocca sempre ai servizi veterinari territoriali gestire nel quotidiano il “secondo atto” dei mega sequestri, nonché i rapporti con le aziende che hanno tonnellate di merce bloccata e che sono state indicate in modo del tutto prematuro come i focolai dell’intossicazione alimentare.
A queste considerazioni, che abbiamo già avuto modo di ripetere in questa e in altre sedi, se ne affiancano anche altre. Quando le massime autorità sanitarie di un paese additano la carne come possibile causa di infezione, non deprimono solo i consumi di quella particolare ditta produttrice “straniera”, ma arrecano un danno potenziale d’immagine a tutta la produzione zootecnica, anche a quella nazionale.
Pensiamoci, allora, prima di “immolare” un settore produttivo senza riscontri oggettivi. Siamo sicuri che la campagna ministeriale ha “rassicurato” gli italiani? In proposito ho qualche dubbio. Sono certo però che ha avuto come risultato quello di generare diffidenza verso ogni tipo di carne. Ne valeva la pena?
Roberto Poggiani
segretario SIVeMP Veneto
8 agosto 2011