di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella*. Le Borse sbandano, la Grecia vede l’abisso, l’America rischia il default, le imprese arrancano: imbracciata una forbicina, il Senato si è dunque fatto coraggio e ha deciso di tagliare. Un’amputazione dolorosissima: lo 0,34%. Dice la bozza del bilancio 2011,, sul quale a Palazzo Madama si è aperta giusto ieri la discussione, che quest’anno le spese correnti si fermeranno a 574 milioni 49 mila euro. Ovvero, un milione 980 mila euro in meno rispetto alla somma (576 milioni 29 mila euro) sborsata nel 2010. Sia chiaro: la volontà c’era. Per darne prova tangibile tanto gli ex senatori quanto gli ex impiegati e funzionari consegneranno alla patria il 5% e il 10% dei loro assegni nella parte eccedente 90 mila euro e 150 mila euro.
Purtroppo però i numeri sono quelli che sono. Fra vitalizi e pensioni il sacrificio complessivo vale appena un milione 100mila euro. Centomila euro per i trattamenti dei senatori, c’è scritto nelle tabelle, e un milione per quelli dei dipendenti.
E pensare che solo per questi due capitoli il Senato prevede comunque di spendere quest’anno 176 milioni 35o mila euro. Cioè, il 2,70% più del 2010. Consoliamoci: sarebbe andata peggio senza la riduzione del 6,2 per mille alla spesa globale per tali voci. Comunque, per Palazzo Madama, l’unico boccone amaro imposto da una manovra che mentre strapazza i pensionati, raddoppia i ticket sanitari e aumenta le tasse sui risparmi, da queste parti impolvera appena gli abiti. Ma il paradosso è che almeno è un taglio vero. Uno dei pochi. La sforbiciatina a vitalizi e pensioni d’oro si dovrebbe sommare agli altri giri di vite imposti obtorto collo dalla manovra del 2010. In questo caso, una somma ben più consistente di 9,5 milioni che avrebbe portato i risparmi nel bilancio del Senato a ben 10,6 milioni di euro. Peccato soltanto che più di un quarto di quei «sacrifici», ossia 2,4 milioni su 9,5, siano in realtà «mancati incrementi», come il blocco degli adeguamenti contrattuali del personale (un milione 250 mila euro) e non interventi sulla carne viva. E peccato pure che le economie, vere o presunte, se le siano mangiate quasi tutte gli aumenti di altre voci. Un dettaglio rende perfettamente l’idea. I risparmi derivanti dalla «dematerializzazione degli atti parlamentari», cioè il passaggio dalla carta a Internet, stimato in 300 mila euro, sarà praticamente vanificato dal surreale corrispondente aumento del costo per la «stampa degli atti parlamentari»: più 250 mila euro. Dematerializzazione rimaterializzata.
Altri esempi? Indennità parlamentari, più 400 mila euro (per un totale di 46,4 milioni). Rimborso forfettario «delle spese generali» ai senatori, più un milione 510 mila euro. Paghe del personale «addetto alle segreterie particolari», più un milione 470 mila euro (fino a un ammontare di 14 milioni 990 mila euro). Indennità di funzione e di risultato dei dipendenti, più 400 mila euro. Contributi per il personale dei gruppi parlamentari, più un milione 90 mila euro. Servizi informatici «e di riproduzione», più 531 mila euro. Manutenzioni, più 685 mila euro: dieci volte il dimagrimento di 70 mila euro imposto al ristorante dei senatori. Declassato dall’onorevole di Io Sud Riccardo Villari durante la trasmissione di Radio 24 La zanzara, nonostante i camerieri in guanti bianchi e le stoviglie di gran classe, a una specie di mensa «dove il pesce non è mai fresco e i cibi sono spesso precotti» a dispetto di prezzi niente affatto proletari, come invece sembra affermare un menù che offre, ha ricordato L’Espresso, spaghetti alle alici a un euro e 6o e pescespada alla griglia a 3 euro e 55. Però si dovrà rassegnare. Con l’aria che tira, la sua proposta marziana di aprire un secondo ristorante finalmente con tre stelle Michelin ha zero possibilità di essere accolta. La conclusione? Senza quei provvidenziali «mancati aumenti» e taglietti vari le spese correnti del Senato sarebbero schizzate quest’anno ancora dell’1,5% raggiungendo 584 milioni e 649 mila euro, anziché, bontà loro, scendere dello 0,34 per cento. Un fatto che la dice lunga. Di questo passo, per arrivare fra tre anni a una riduzione di 110 milioni delle spese del Senato, come ha annunciato il presidente Renato Schifani, la strada è davvero impervia. Ma tanto, nel 2014, chi vivrà vedrà.
*Corriere della Sera – 27 luglio 2011