Il dipendente in servizio di reperibilità passiva in giornate festive, che non abbia reso alcuna prestazione lavorativa, ha diritto al riposo compensativo, ma non anche alla riduzione dell’orario di lavoro settimanale: di conseguenza, è tenuto a recuperare le ore lavorative della giornata di riposo ridistribuendole nell’arco della settimana. È il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 15740/11. Il caso. Un dipendente Asl porta in giudizio la datrice di lavoro chiedendone la condanna al risarcimento del danno da usura psico-fisica subito per il servizio di reperibilità passiva, cioè senza chiamata in servizio durante la disponibilità, prestato in giorni festivi per tre anni, senza fruire del riposo compensativo.
La domanda è respinta, sia in primo che in secondo grado, e il lavoratore fa ricorso in cassazione. La Corte d’Appello ha riconosciuto che la normativa vigente attribuisce al lavoratore che presti servizio di pronta reperibilità durante giornate festive un diritto perfetto al riposo compensativo, senza che ciò comporti una riduzione dell’orario di lavoro settimanale, ma solo una diversa modulazione di questo.
La Cassazione conferma la tesi e considera pacificamente acclarate alcune circostanze, come ad esempio il fatto che il servizio di reperibilità è stato richiesto al ricorrente in giornate domenicali e che il lavoro non è mai stato effettivamente prestato; che, inoltre, tale reperibilità è stata compensata con apposita indennità, sulla quale non vi è stata contestazione delle parti. Ciò che si discute, invece, è se il lavoratore abbia diritto anche ad un ulteriore compenso. Nel decidere, il Collegio afferma che la reperibilità passiva è una prestazione strumentale e accessoria, qualitativamente diversa dall’effettiva prestazione di lavoro: consiste, infatti, nell’obbligo del lavoratore di rendersi disponibile per eventuale necessità, ma può verificarsi che non venga mai concretamente chiamato a compiere l’attività lavorativa, come nel caso di specie, in cui il lavoratore è stato tenuto a disposizione, senza che si verificasse la necessità di un suo intervento.
Il dipendente ha diritto al riposo ma non alla riduzione dell’orario di lavoro settimanale: deve recuperare le ore di riposo. La pronta reperibilità, in altre parole, non può essere equiparata all’effettiva prestazione di lavoro, così che il diritto ulteriore a un giorno di riposo compensativo non trova la sua fonte nella Costituzione (art. 36), laddove questa prevede un diritto inderogabile al riposo settimanale in relazione ad attività lavorative effettivamente prestate, bensì nella normativa collettiva, che riconosce, appunto, un riposo compensativo, ma senza riduzione del debito orario settimanale. Il dipendente, quindi, ha diritto al riposo, ma non alla riduzione dell’orario di lavoro settimanale, con la conseguenza che è tenuto a recuperare le ore lavorative del giorno di riposo, ridistribuendole nell’arco della settimana.
Quanto all’ulteriore motivo di ricorso, relativo alla richiesta di risarcimento dei danni da usura psico-fisica, la Cassazione conferma la sentenza di appello che ha considerato non provata la sussistenza del pregiudizio: il danno lamentato dal ricorrente, infatti, si può iscrivere nella categoria del danno non patrimoniale, e la sua risarcibilità è subordinata alla sussistenza di un pregiudizio concreto, patito dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della prova. Nel caso di specie, il pregiudizio risulta non provato, con la conseguenza che il ricorso viene rigettato anche con riferimento a questo motivo.
lastampa.it – 21 luglio 2011