Le mille sfaccettare dell’Italia si ripongono in tutto il loro stridore ai tempi della crisi. E così due notizie, dal Veneto e dalla Sicilia, di questi giorni, quelli che seguono l’entrata in vigore della manovra economica più devastante da decenni, nella loro diversità concorrono a rendere con compiutezza il quadro di un’Italia spaccata, in cui convivono privilegi e povertà, malaffare e onestà. Veneto: tra tasse più alte, sgravi meno corposi, pensioni leggere, ticket, balzelli, accise, addizionali e nuovi legacci del patto di stabilità cittadini dovranno pagare un prezzo di un miliardo e mezzo di euro. Una botta da quasi trecento euro a persona – neonati compresi – quasi venti euro in più rispetto al resto degli italiani.
Non solo, la mancata introduzione dei correttivi del patto di stabilità farà schizzare alle stelle i tagli dei Comuni che, se vorranno rispettare la sacralità del pareggio di bilancio imposta dal susseguirsi di manovre fiscali, dovranno pescare ancora una volta dai conti bancari dei cittadini senza tanto ritegno. Intanto i posti di lavoro nel pubblico impiego si riducono e nelle corsie degli ospedali scarseggiano i medici.
L’altra notizia arriva dalla Sicilia: l’ultimo grido l’ha lanciato l’assessore all’Economia Gaetano Armao: «Taglieremo gli stipendi delle società regionali». Un proclama che, nell’isola dalle indennità d’oro, porta con sé la denuncia di un nuovo scandalo: quello delle spa a partecipazioni pubbliche. Enti decotti, in via di smantellamento o da accorpare per risparmiare soldi pubblici, che continuano a erogare ai propri dirigenti compensi che fanno a pugni con la situazione economica del Paese. La vicenda emblematica è quella del Ciem: sigla che sta per «Centro per l’internazionalizzazione e la promozione dell’economia euro-mediterranea». In liquidazione da oltre due anni e il governo di Raffaele Lombardo sta cercando di trasferire i suoi 23 dipendenti in altri enti. Ci ha provato già nella primavera del 2010: i responsabili delle altre società, poco inclini ad accollarsi altri stipendi, rifiutarono il “regalo”. C’è da capirli, forse. Solo per fare un esempio: il direttore generale di questa struttura-fantasma, Antonino Giuffrè, guadagna 13.300 euro lordi al mese. (testo a cura di Cristina Fortunati – 20 luglio 2011.- riproduzione riservata)
leggete di seguito i due articoli citati…..
Manovra da un miliardo e mezzo, ogni veneto pagherà 300 euro in più
I sindaci preparano le barricate: «Sono tagli insostenibili». Secondo l’Ifel Venezia sarà la seconda città più tartassata d’Italia. Il nodo servizi
VENEZIA – Tasse più alte, sgravi meno corposi, pensioni leggere. E poi ticket, balzelli, accise, addizionali e nuovi legacci del patto di stabilità per un totale di un miliardo e mezzo di euro. E’ questo il prezzo che dovranno pagare i veneti il prossimo anno con l’entrata in vigore della manovra finanziaria approvata definitivamente tre giorni fa. Una botta da quasi trecento euro a persona – neonati compresi – che peserà nelle tasche dei veneziani, padovani, trevigiani, veronesi, vicentini, rodigini e bellunesi quasi venti euro in più rispetto al resto degli italiani. Ma gli effetti diretti nelle tasche dei veneti non sono l’unica novità di questa manovra. La mancata introduzione dei correttivi del patto di stabilità farà schizzare alle stelle i tagli dei Comuni che, se vorranno rispettare la sacralità del pareggio di bilancio imposta dal susseguirsi di manovre fiscali, dovranno pescare ancora una volta dai conti bancari dei cittadini senza tanto ritegno.
«Il federalismo è stato massacrato alla faccia delle balle di tutti i leghisti – sbotta il sindaco di Padova Flavio Zanonato – Ora si scopre l’inganno: con questa manovra i Comuni dovranno tagliare il sociale e dovranno danneggiare i loro cittadini». E in effetti a guardare le simulazioni del centro studi Ifel i veneti dovranno attendersi pesanti tagli ai servizi e ai trasporti e dovranno adattarsi a vivere in città che cercheranno di ridurre al minimo le opere di manutenzione stradale e degli edifici pubblici. In attesa del calcolo dei nuovi effetti legati all’ultima manovra che arrivano a quasi sette miliardi in tutto il territorio nazionale, è possibile che, se non ci sarà un intervento correttivo del governo dell’ultimo minuto, il capoluogo regionale – a causa degli strascichi del patto di stabilità – si troverà a dover tagliare il prossimo anno più di cinquanta milioni di euro per rientrare nei vincoli finanziari imposti dalla legge. Una cifra che se si dovesse confermare avrebbe conseguenze terrificanti per i veneziani – e per chiunque decida di visitare la città lagunare o anche solo parcheggiarci vicino – visto che per tagliare i circa cinquanta milioni di quest’anno il Comune ha dovuto introdurre per la prima volta l’addizionale Irpef e la tassa di soggiorno.
«Non è più una questione di tagli o di dimensione dei tagli ai trasferimenti – interviene il primo cittadino di Venezia Giorgio Orsoni -. Il problema è che lo Stato va contro la Costituzione e i Comuni hanno perso definitivamente la loro autonomia. Ora i municipi sono enti di decentramento del potere statale come accadeva nel 1934, durante il fascismo». D’altra parte i sindaci non ci stanno a fare la parte di quelli che tartassano i cittadini come fa notare anche l’assessore al bilancio del Comune di Vicenza Umberto Lago che definisce questi tagli «insopportabili, folli e dissennati ». L’unico sindaco a correre in difesa del governo – sperando ovviamente nei correttivi visto che Verona dovrà congelare più di venti milioni se non ci saranno interventi – è Flavio Tosi che sottolinea che «questa manovra è figlia del debito pubblico degli anni Ottanta. Senza interventi rischiamo di fare la fine della Grecia ». Per il senatore Marco Stradiotto della commissione Finanze però «siamo di fronte a una manovra insostenibile perché non tiene conto nemmeno questa volta delle esigenze degli enti locali» e per il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi i veneti subiranno effetti pesanti a lungo termine. «Questa manovra colpisce ancora una volta il Nord del Paese e avrà forti ripercussioni sulle famiglie».
Corriere Veneto – 19 luglio 2011
Società da rottamare ma con stipendi d’oro l’ultimo spreco siciliano
Tentativi falliti di accorparle. Emolumenti oltre i 10 mila euro al mese. Taglieremo” ha promesso ieri la giunta. Annunci simili sono però già andati a vuoto . Cinque dirigenti di una di queste spa costano alle casse della Regione 800 mila euro
PALERMO — L’ultimo grido, dalla Sicilia che non riesce a sposare l’austerity, l’ha lanciato ieri l’assessore all’Economia Gaetano Armao: «Taglieremo gli stipendi delle società regionali». Un proclama che, nell’isola dalle indennità d’oro, porta con sé la denuncia di un nuovo scandalo: quello delle spa a partecipazioni pubbliche. Enti decotti, in via di smantellamento o da accorpare per risparmiare soldi pubblici, che continuano a erogare ai propri dirigenti compensi che fanno a pugni con la situazione economica del Paese. La vicenda emblematica è quella del Ciem: sigla che sta per «Centro per l’internazionalizzazione e la promozione dell’economia euro-mediterranea». Nome più lungo dell’aspettativa di vita: la società, partecipata interamente dalla Regione, è in liquidazione da oltre due anni e il governo di Raffaele Lombardo sta cercando di trasferire i suoi 23 dipendenti in altri enti. Ci ha provato già nella primavera del 2010: i responsabili delle altre società, poco inclini ad accollarsi altri stipendi, rifiutarono il “regalo”.
C’è da capirli, forse. Solo per fare un esempio: il direttore generale di questa struttura-fantasma, Antonino Giuffrè, guadagna 13.300 euro lordi al mese. E timona la spa malgrado una condanna a un anno e sei mesi relativa all’attività di revisore dei conti dell’Arnia, la municipalizzata dei rifiuti di Palermo. Somme non molto diverse vengono percepite dai manager di altre società partecipate dalla Regione. Basti pensare a Sicilia e-servizi, una spa che si occupa di informatizzazione e che n egli ultimi anni ha imbarcato nei propri organici (e in quello delle collegate) una sfilza di amici e parenti di politici. Perle sole indennità fisse dei cinque dirigenti (fra cui c’è anche il figlio del sindaco di Palermo Diego Cammarata) la società spende quasi 800 mila euro. Il direttore generale di Sicilia e-servizi, Dario Colombo, percepisce, al netto dei premi, una cifra annua lorda che si aggira sui 250 mila euro. E cumula questa indennità con quella di amministratore delegato della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto di Palermo. I colleghi, va da sé, seguono a ruota: Leonardo Palazzolo, responsabile del settore legale, supera i 200 mila euro. Allargando l’orizzonte: 13 mila euro lordi al mese, circa 9 mila netti, guadagna anche Vincenzo Paradiso, direttore di Sviluppo Italia Sicilia.
E alla Serit, la società che si occupa della riscossione dei tributi nell’Isola, il direttore generale Antonino Finanze si attesta sui 160 mila euro lordi. Sempre al netto dei premi. Il direttore generale di Multiservizi, Antonio Zagarella, viaggia sui 140 mila euro. Mentre si ferma appena sotto i 100 mila euro l’ex assessore provinciale (e commissario dell’Mpa a Palermo) Nicola Vernuccio, che è l’unico dirigente della Resais, un ente-parcheggio per lavoratori in mobilità. Le spa regionali, che dovevano incarnare il sogno della new economy alla siciliana, proliferarono durante i governi Cuffaro: oggi sono trenta. Sin dal suo insediamento, nel 2008, l’attuale presidente Raffaele Lombardo annunciò un provvedimento di riduzione di questi en -ti, attraverso liquidazioni e accorpamenti, i cui effetti dovrebbero finalmente avvertirsi quest’anno.
Nel frattempo ha ridotto i compensi dei membri dei consigli d’amministrazione, fissando un tetto di 50 mila euro. Erano sfuggiti, a Lombardo, i dirigenti “interni” alle società, i burocrati lontani dai riflettori. E i loro stipendi d’oro. Ora l’assessore Armao, che ha annunciato il recepimento delle norme sui costi della politica contenuti nella manovra nazionale, dice basta: «Non è possibile che ci siano queste cifre, inter-verremo». La proposta, che andrà all’esame dell’Assemblea, è quella di un allineamento con i trattamenti economici dell’amministrazione-madre, la Regione siciliana. Ma il rischio è che la”dieta”, anche questa volta, rimanga sulla carta.
repubblica.it – 19 luglio 2011