La liberalizzazione delle professioni, contenuta nella bozza di manovra circolata ieri, è un abominio giuridico. Viene addirittura il sospetto che l ‘ambiguità del testo sia voluta, non tanto per non scontentare nessuno, perché con queste norme si finisce per scontentare tutti, quanto per tenere sotto scacco una serie di categorie professionali che per un paio d’anni almeno, cioè fino alla emanazione dei provvedimenti ministeriali che daranno attuazione a questo delirio normativo, si sentiranno con una spada di Damocle appesa sopra la testa. E quindi saranno costrette a trattenere le critiche più violente al governo.
Altra ipotesi: forse questo testo vuole semplicemente liberalizzare i taxi, ma chi l’ha deciso non aveva il coraggio di dirlo chiaramente e quindi si è perso in un giro di parole inutili e sgangherate. Oppure le liberalizzazioni sono un’esca, messa lì per arrivare chissà dove.
Resta il fatto che in questo modo il legislatore (la mitica figura retorica cara ai giuristi, condensato di razionalità e consapevolezza) perde ancora un poco della scarsa autorevolezza che gli era rimasta. Forse è un segno dei tempi. Ma è sempre più evidente che non solo i politici agiscono, pensano, combattono, mentono, cercando di massimizzare sempre e comunque solo il ritorno di immagine. Unico vero obiettivo al quale sacrificare ogni scrupolo e ogni virtù. Ora anche i tecnici, quelli che scrivono le norme per conto dei politici, sembrano aver imparato la lezione.
Così l’attività legislativa è diventata la prosecuzione del teatrino della politica, un modo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. In fin dei conti coloro che i testi li leggono davvero sono pochi se confrontati con la massa degli elettori. Figuriamoci quelli che poi la devono applicare.
Marino Longoni
Leggi il servizio completo “Professioni senza Ordini. Forse” su Italia Oggi – 29 giugno 2011