Nel pacchetto legislativo per la riforma della Pac troverà spazio una proposta per stabilire il plafonamento dei pagamenti diretti destinati alla imprese di maggiore dimensione economica. Lo ha detto il commissario, Dacian Ciolos, in occasione di una recente visita ufficiale in Slovacchia dove ha incontrato il ministro dell’agricoltura, Simon, e i rappresentanti delle organizzazioni professionali. Dunque, la Commissione non intende cambiare strada rispetto alle indicazioni già contenute nella comunicazione dello scorso novembre, nonostante le critiche al plafonamento avanzate da alcuni Stati membri, Germania in testa.
Il massimale per i pagamenti costituisce la necessaria risposta ai cittadini che sollecitano una maggiore efficienza e trasparenza su come il denaro pubblico viene speso, ha dichiarato Ciolos.
Tuttavia, la Commissione non e orientata a proporre un plafonamento uguale per tutte le imprese interessate, ha aggiunto. Perchè occorre prendere in considerazione i livelli occupazionali e l’impegno assicurato dalle singole strutture ai fini di una produzione sostenibile sotto il profilo ambientale.
Inoltre, ha proseguito il commissario europeo, le economie di spesa non saranno a vantaggio del bilancio comunitario, bensi lasciate a disposizione degli Stati membri nei quali le aziende sono situate, per finanziare un nuovo programma mirato alla modernizzazione e all’innovazione di cui potranno beneficiare tutte le aziende. Comprese quelle piu grandi alle quali saranno tagliati i trasferimenti del primo pilastro della Pac.
Nel corso degli incontri con il commissario non poteva mancare, da parte degli esponenti slovacchi, un forte richiamo all’esigenza di colmare il divario esistente nell’ammontare dei pagamenti diretti nei vecchi e nuovi Stati membri.
E Ciolos non ha eluso il problema che, con tutta probabilita, sara il più difficile da risolvere nell’ambito del negoziato per la nuova riforma della Pac, soprattutto per le ripercussioni sulle chiavi di ripartizione delle spese agricole tra i 27 partner. Pero, non ha fornito aggiornamenti e approfondimenti rispetto a quanto gia noto sull’argomento. Si e limitato a confermare, infatti, che la Commissione presentera un sistema di calcolo dei pagamenti basato su nuovi criteri oggettivi, in grado di assicurare non solo un’assegnazione piu bilanciata ed equa tra gli Stati membri, ma anche tra i diversi tipi di agricoltura.
Ciolos non ha dato altri particolari sugli orientamenti finali dell’esecutivo, a breve distanza dalla presentazione, in calendario a giugno, delle proposte formali al Consiglio e al Parlamento. Tuttavia, le sue dichiarazioni sono bastate a far scattare le critiche del mondo agricolo nel Regno Unito. Perche le indicazioni di Ciolos, questo il commento, sembrano aprire la strada al varo di un sistema ancor piu complesso e burocratico di quello che e in vigore.
La Commissione resta pero convinta della necessita di riequilibrare in modo sostanziale la spesa Pac, che attualmente e in larga parte appannaggio di poche aziende: L’1,6% beneficia del 32% degli aiuti diretti totali (poco meno di 40 miliardi), mentre dall’altra parte una stragrande maggioranza di imprese (il 43,6% del totale) raccoglie premi inferiori a 500 euro annui, che sommati non arrivano al 2% del budget complessivo.
In Italia ci sono 210 beneficiari che nel 2009 hanno incassato somme comprese tra 200 e 500mila euro, e 150 aziende che hanno ricevuto aiuti diretti per oltre 500mila euro, mentre il 42,4% degli agricoltori ha incassato appena il 3,3% dei fondi.
Futuro della Pac. E la zootecnia teme l’azzeramento dei titoli
«Terremo conto dell’occupazione e dei benefici ambientali, i fondi resteranno agli Stati membri». Redistribuzione e omogeneizzazione dei pagamenti diretti tra i diversi comparti produttivi. È un’ipotesi sempre più concreta per il futuro della Pac post 2013. La scelta di Bruxelles di azzerare i titoli storici porterà così a una suddivisione delle risorse apparentemente più «democratica », ma penalizzante per alcuni settori chiave dell’agricoltura italiana come quello dell’allevamento bovino da carne. «Che rischia – afferma Giuseppe Borin, presidente della Consulta Bovina di Fedagri-Confcooperative – di subire una decurtazione del 90% del sostegno comunitario proprio nel momento in cui il bilancio economico della zootecnia è appesantito dal forte aumento del prezzo delle materie prime per mangimi e dalla concorrenza disordinata del settore delle bioenergie».
Mentre Asia e America latina continuano a investire nella crescita della domanda di carne bovina prevista in alcuni dei paesi Brics,il patrimonio bovino italiano si è ridotto nell’ultimo decennio di oltre il 10 per cento. Anche per questo Borin ha richiesto, nel corso del convegno «Il futuro della Pac post 2013 e la produzione zootecnica», organizzato a Padova il 28 aprile scorso da Fedagri-Confcooperative in collaborazione con l’Organizzazione di produttori Azove, di mantenere gli aiuti a titolo speciale. Evitare una Pac modello «menù a prezzo fisso » (in cui tendono in genere a sparire le portate più pregiate come, per l’appunto, la carne) è l’obiettivo condiviso dai 360 soci allevatori (circa 45mila i capi) di Azove, Op con sede a Ospedaletto Euganeo (Pd).
Un’ipotesi su cui Paolo de Castro ha lasciato poche speranze. «La riforma – ha detto il presidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo – non ci consentirà di mantenere livelli di aiuti diretti differenziati per settore. Per questo occorre trovare nuovi strumenti per salvaguardare le carni bovine, misure “accoppiate” con meccanismi simili all’attuale articolo 68». Per De Castro parte delle risorse per attivare queste misure potrebbero derivare dai risparmi ottenibili elevando i limiti minimi per accedere ai contributi (la Commissione ha calcolato che in Italia il costo medio per la gestione del fascicolo unico è di circa 350 euro), ma anche da misure finanziarie nazionali ad hoc per sostenere la competitività delle filiere.
«Interventi – ha concluso Maurizio Gardini, presidente di Fedagri-Confcooperative – che dovrebbero tener conto delle peculiarità del comparto zootecnico, caratterizzato da forti squilibri tra domanda e offerta, dall’aumento dei costi di produzione e degli oneri burocratici (si pensi all’attuazione delle norme per il rispetto della direttiva nitrati o per la riduzione di gas serra)».
E per compensare l’eventuale perdita di valore dei diritti di pagamento unico aziendale, Gardini auspica che in sede di riforma comunitaria vengano introdotti nuovi strumenti di mercato, gestiti direttamente dalle Op, affidandogli un ruolo primario nella commercializzazione e nella salvaguardia del reddito degli allevatori.
Agrisole.it – 6-12 maggio 2011