Centodiciassette pagine per ridisegnare la sanità veneta. E sarà una vera rivoluzione, visto che la Regione da 16 anni non ha un Piano socio sanitario. Fino ad ora si è andati avanti a “colpi di schede” (indicazione dei posti letto da tagliare), ma senza una visione d’insieme. 117 per ora, visto che il documento di programmazione merita ancora qualche limata prima di essere ufficiale e di servire come “base strategica” per costruire le schede: cioè dove e quanto si dovrà tagliare e riorganizzare per offrire una buona sanità senza sforare sui costi di gestione. 117 pagine viste e riviste da tutte le componenti sanitarie per poter avere, alla fine, un contributo globale. Ma di cose il Piano ne dice parecchie e inserisce due concetti che sono fondamentali.
Il peso della sanità territoriale, nelle due diverse espressioni, diventa preponderante e supera quella ospedaliera; i direttori generali avranno mani libere per muoversi solo all’interno di una programmazione ben definita, seguendo costi standard decisi su una media: chi esce dal seminato ne dovrà rispondere al presidente.
Inevitabilmente qualche ospedale verrà chiuso, o meglio riconvertito, per razionalizzare e per liberare risorse. Ma non sarà questa la vera rivoluzione: la rete ospedaliera veneta punterà su due livelli e questo di fatto cambierà il volto delle Asl: ospedali di riferimento per un bacino di oltre un milione di abitanti: azienda ospedaliera integrata di Verona, Azienda ospedaliera di Padova, ospedali di Treviso, Vicenza e Mestre. Questi ospedali devono avere una centrale operativa del 118, oltre ad essere sede delle alte specialità avranno un ruolo importante per le specialità di media diffusione sul territorio di riferimento (andranno in questa sede le specialità di otorino, radioterapia, medicina nucleare, malattie infettive, neurochirurgia, cardiochirurgia, oncoematologia e la chirurgia robotica). Le due Aziende di Verona e di Padova saranno poi centri di riferimento per altre funzioni, come l’emergenza neonatale, le ustioni e i trapianti).
Ci saranno poi gli ospedali di rete, con un bacino di 200 mila abitanti che dovranno avere un Pronto Soccorso e le specialità di base e di media complessità (chirurgia generale, medicina interna, oncologia, cardiologia, ostetricia e ginecologia, pediatria, ortopedia, terapia intensiva, neurologia, urologia, psichiatria e geriatria). Oltre ai laboratori, la radiologia e la dialisi. Il “parco ospedale” si chiude con gli “ospedali nodi della rete” (monospecialistico) e a vocazione turistica, come Cortina e Jesolo per i quali sono previsti servizi e posti letto. Non potranno poi essere previsti punti nascita con meno di mille parti l’anno (tre al giorno) tranne che nelle aree montane o a bassa densità abitativa.
Un processo che quindi richiede una forte revisione dell’attuale sistema, come più volte sottolineato dall’assessore Luca Coletto, ma che dovrebbe concorrere a sovvertire alcune tendenze negative, come ad esempio la mobilità passiva (chi va a curarsi fuori regione) che è in crescita (tre punti negli ultimi anni). Una sanità che il Veneto si vedrà finanziata per 8 miliardi e 484milioni e 44.724 euro, il 2,07 per cento in più dello scorso anno (più del Veneto hanno ottenuto la Lombardia, le province autonome, l’Emilia Romagna, il Lazio, il Molise e la Campania). Il 51 per certo della quota secondo il nuovo Piano andrà per l’assistenza territoriale, il 44 per cento all’assistenza ospedaliera e il 5 per cento per attività di prevenzione: nella filosofia, appunto, che per diventare competitiva la sanità deve uscire dalle corsie e offrire una risposta immediata e professionale sul territorio
Gazzettino.it – 4 maggio 2011