Tante Dop ma il business è solo per pochi. L’Italia detiene la leadership europea dei prodotti alimentari a denominazione d’origine. Il numero di riconoscimenti con gli ultimi due (la Farina di Castagne della Lunigiana e la Formagella del Luinese hanno ottenuto la Dop proprio nei giorni scorsi) ha toccato quota 225 (sugli oltre mille totali), ma non basta. Il record di denominazioni ha come contraltare una proliferazione dei riconoscimenti che si ripercuote sulle difficoltà di raggiungere una effettiva tutela internazionale e una promozione efficace, ma soprattutto, alla prova del mercato, non sempre le Dop si rivelano capaci di creare sviluppo per i territori di cui sono espressione garantendo un’adeguata remuneratività ai produttori agricoli.
Che alcune denominazioni non siano in grado di svolgere la funzione di traino per i loro bacini di produzione lo si evince dai dati sul giro d’affari. Dalle cifre infatti emerge che nonostante i 225 riconoscimenti Ue, le prime 5 Dop italiane (Parmigiano reggiano, Grana padano, Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele e Gorgonzola) realizzano oltre l’80% del fatturato del settore. Alle altre 220 non restano che le briciole.
Per questo è stata avviata a Bruxelles una riflessione sui correttivi che vanno introdotti nella normativa Ue sui prodotti a denominazione d’origine. Tali valutazioni saranno recepite nel “pacchetto qualità” che si prevede sarà approvato a Bruxelles in prima lettura a luglio.
«L’Italia non vanta solo il primato dei riconoscimenti europei – spiega Riccardo Deserti della direzione qualità del ministero per le Politiche agricole – ma anche quello del fatturato. I prodotti Dop italiani valgono alla produzione 5,2 miliardi di euro (che diventano oltre 9 al consumo) contro i 3,6 della Germania e i 2,5 della Francia. Tuttavia alcuni correttivi vanno apportati. Per frenare la proliferazione dei marchi, nel “pacchetto qualità” è previsto il rafforzamento della revoca delle Dop non utilizzate (per almeno cinque anni). Un istituto che finora era previsto solo in via teorica».
Ma sostanziali novità verranno anche sul fronte della protezione internazionale dei marchi. «Sarà introdotto – aggiunge Deserti – il concetto della tutela ex officio. Pertanto, in un caso come quello del Parmesan in Germania, verrà richiesto anche l’intervento del Governo tedesco a tutela della Dop italiana del Parmigiano. Inoltre, e sempre in tema di tutela, sarà disciplinato l’uso di prodotti Dop fra gli ingredienti di altri prodotti alimentari (come il tortellino al prosciutto di Parma, ndr). Un segmento che senza regole chiare può aprire nuovi spazi per i falsi. D’altro canto non va dimenticato che fra i principali problemi di questo settore c’è la lotta alla contraffazione».
Ma le difficoltà legate alla tutela internazionale non saranno risolte solo dalle regole del pacchetto qualità. «La tutela deve procedere lungo un doppio binario – spiega Giuseppe Liberatore, presidente dell’associazione italiana fra i consorzi delle indicazioni geografiche (Aicig) – differenziando cioè i marchi che vanno sui mercati internazionali dalle tante Dop che all’estero non mettono piede. Che senso ha garantire una tutela internazionale a prodotti che al massimo superano i confini della regione»? Secondo Liberatore quindi nei trattati internazionali occorre presentare «una lista di non più di 15-20 prodotti, perché una trattativa nella quale si chiede uguale protezione per tutte le mille Dop europee è destinata a naufragare». «Senza contare – aggiungono ad Assolatte – che per alcuni prodotti di piccola dimensione andare all’estero si è rivelato controproducente. Perché si è fatto conoscere un prodotto senza disporre dei quantitativi necessari a far fronte alle successive richieste. E così la spedizione all’estero, secondo molti produttori, si è rivelata un vero e proprio “invito alla contraffazione”».
Un’altra questione riguarda infine i prezzi spesso non adeguati alla qualità del prodotto. Per questo il presidente della Commissione agricoltura della Camera, Paolo Russo, ha proposto di definire un prezzo minimo per la mozzarella di bufala campana Dop. La Coldiretti ha invece sottolineato come anche i produttori inseriti nei circuiti Dop non sono al riparo dai rincari dei listini delle materie prime che stanno erodendo i margini per le imprese. Una risposta è arrivata dal presidente dell’Aicig convinto che la strada da seguire sia la programmazione dell’offerta. «Uno strumento – ha aggiunto Liberatore – previsto nel “pacchetto qualità” e che può consentire alle aziende di regolare la produzione in base alla domanda, tutelando sia i prodotti Dop che i redditi degli agricoltori».
Ilsole24ore.com – 25 aprile 2011