Pubblichiamo di seguito un’articolata riflessione di Angelo Troi, veterinario e segretario nazionale Sivelp. Pensiamo infatti che, ferme restando le valutazioni di ognuno, valga la pena che politici zoofili e tutti quanti si occupano degli animali, a vario titolo, si fermino un attimo a ragionare sulle lucide considerazioni di Troi.
I costi della sanità sono uno dei punti critici di bilancio per il nostro Paese, fin qui nulla di nuovo. L’Italia garantisce infatti un livello di assistenza che non è affatto scontato nei paesi industrializzati, pur con picchi di eccellenza e gravi cadute di tono.
Non tutti i cittadini sono al corrente di finanziare in questo capitolo anche la sanità animale, intesa in origine come un complesso di interventi pubblici di grandissima rilevanza, volti a garantire che gli animali non trasmettano malattie all’uomo e che gli alimenti di origine animale siano salubri.
Ma nel nostro Paese si sta costruendo un’altra veterinaria, quella del randagismo, che prevede canili e spostamenti di animali e vorrebbe anche ospedali e persino una mutua: il tutto nell’inconsapevolezza generale di costi che gravano sulle casse pubbliche. Purtroppo l’idea della salute pubblica è relegata a mero accessorio, nel senso che la diffusione di malattie infettive (ad esempio la leishmaniosi, pericolosa per l’uomo) in tutto il Paese attraverso questi animali, non è certo il problema prioritario. Con un’etica dai risvolti discutibili.
Esiste un’etica della tortura? Del carceriere? Delle sofferenze inflitte? Ripensare il sistema del randagismo vuol dire praticare un difficile esercizio anche contro l’ipocrisia e i luoghi comuni, vuol dire scontrarsi contro la disneyzzazione della nostra cultura, cercando di praticare l’Etica affrontando interrogativi scomodi.
Che esista un sistema DEL randagismo è cosa sicura: arriviamo al paradosso dell’esistenza di un Assessorato al Randagismo (Comune di Lecce). Ma non solo questo ce lo dimostra. Ci sono anche le decine di milioni di euro spesi dallo Stato italiano – solo per il mantenimento-, ci sono migliaia di associazioni, cooperative, movimenti, spesso con un fortissimo contatto politico, sempre con una grande risonanza mediatica, a dimostrare che esiste un vero e proprio Sistema del randagismo.
Fino a qui, sarebbe ancora il meno. In fondo esistono sistemi nella gradazione dal legittimo al corrotto per molti altri aspetti della travagliata vita italiana. Non ci muoveremmo più di tanto contro l’ormai consueta demagogia spesa per la ricerca nemmeno della poltrona, a volte un semplice sgabello comunale, nemmeno per i soldi spesi male. Il problema è che ci sono sofferenze inaudite, indicibili, inflitte con colpevole noncuranza a migliaia di animali prigionieri di questo Sistema.
Ripensare il sistema dei canili vuol dire riflettere con serena e spietata autocritica sui risultati pratici creati da una legislazione demagogica nazionale unita ai piccoli poteri e alle grandi negligenze locali. Forse è arrivato il momento. I cani nei canili soffrono. Ce lo dicono molte inchieste a volte sincere, a volte interessate più all’audience che al miglioramento reale delle cose, ce lo dicono i veterinari, ce lo conferma una semplice valutazione diretta delle cose. Ma anche qui, si potrebbero accettare sofferenze finalizzate alla realizzazione di un benessere futuro dei cani, cosa che invece non avviene. I cani sono imprigionati nei canili, vittima di un Sistema che ha tutto l’interesse a mantenerli in prigionia per poter prosperare, per mantenere un potere, per ricevere denaro da distribuire senza doverne rendere conto.
Non occorre arrivare alle situazioni dei canili lager, purtroppo così diffuse, per vedere queste sofferenze. Anche nei canili milionari, tirati su a suon di cemento e consulenze, i cani soffrono comunque, perché il Sistema non è incentrato su di loro, ma sui carcerieri che ne traggono ancora l’ultimo guadagno, quello di presentarsi come anime pie nascondendo la realtà delle cose. I cani soffrono perché, oltre alle situazioni di carenze igieniche e strutturali assolutamente comuni, vengono privati del diritto ad un’esistenza concretamente corretta, in nome di un astratto diritto ad un'”esistenza”. Nessuno ha interesse a favorirne le adozioni, tanto meno un’esistenza almeno serena. Ancora peggiore è la teoria del “liberiamoli tutti”, togliendo ai proprietari quella responsabilità penale personale, tanto invocata e declamata, quanto platealmente aggirata dal cane di quartiere, dalle colonie, dai mille artifici per dare questa responsabilità a tutti e quindi a nessuno, persino spacciando il fenomeno per “profonde radici della tradizione” e scaricandolo sugli amministratori locali. Animali in branco nella migliore delle ipotesi accattoni o spazzini, nella peggiore spietati, quanto improvvisati assassini.
Se solo questi animali avessero la possibilità di una vera rappresentazione, se solo qualcuno facesse (qualche volta è successo) una vera inchiesta sulle loro condizioni di vita da prigionieri del Sistema, se solo una commissione indipendente e dotata di poteri valutasse serenamente il rapporto costi-benefici dell’approccio italiano al randagismo dell’ultimo ventennio, non ci andrebbe molto per scoprire il velo sulle sofferenze, gli sprechi, le bugie che sommergono questo angolo buio della società italiana.
Ripensare il sistema dei canili vuol dire progettare meccanismi virtuosi che evitino alla base il sistema randagismo. Non occorrerebbe molto, le esperienze di altre nazioni potrebbero esserci utili. Ad esempio, immaginare un modello in cui il proprietario veramente identifichi il proprio animale e che le banche dati siano reali e non oggetti misteriosi ed applicati a macchia di leopardo, senza comunicazione tra loro.
Dobbiamo arrivare anche all’estrema domanda, se sia meglio continuare a soffrire in una gabbia o accettare l’eutanasia come estremo, pietoso, coraggioso, ultimo atto di affetto e rispetto verso animali che hanno diritto a non essere strumenti di biechi interessi, come pacificamente accettato nella quasi totalità degli Stati.
Le Zoomafie non sono solo quelle dei combattimenti clandestini o del traffico di animali, ma le appoggiano anche quelli che agitano frequentemente questi spauracchi per distogliere gli sguardi dalla vera realtà. Andate in un canile, e non chiedete di fare uscire il cane per una passeggiata. Fate di meglio: chiedete di entrare nella loro gabbia, restateci cinque minuti di orologio e quando uscirete allora sarete pronti per discutere veramente di randagismo.
dottor Angelo Troi Veterinario – libero-news.it
7 gennaio 2011