Una bussola per il licenziamento dei dirigenti. Con il divieto di applicare i limiti previsti dallo statuto dei diritti dei lavoratori sia ai dirigenti convenzionali, da ritenere tali alla luce del contratto collettivo applicabile, sia a quelli apicali, i vertici dell’azienda, sia a quelli medi o minori. Unico caso possibile di esclusione è rappresentato dai cosiddetti «pseudo-dirigenti» e cioè «coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente». In questi termini si esprime la Cassazione con la sentenza della sezione lavoro numero 25145 depositata il 13 dicembre che ha accolto il ricorso presentato da una spa. Un altro recente pronunciamento della Suprema Corte (sentenza 24341/2010) stabilisce che la comunicazione al sindacato inviata con qualche giorno di ritardo rispetto alla lettera spedita ai dipendenti fa cadere il licenziamento.
La società aveva impugnato la decisione della corte d’appello di Cagliari con la quale era stato annullato il licenziamento di un proprio dirigente, disponendone invece la reintegrazione sul posto di lavoro con la qualifica di quadro e condannando la spa al risarcimento dei danni. Ai giudici di merito la difesa della società imputava, tra l’altro, di avere dato spazio a una distinzione tra dirigenti apicali e dirigenti minori che non trova invece riscontro nella legislazione in vigore. Per i giudici infatti la persona interessata sarebbe un dirigente minore e quindi il suo licenziamento poteva essere motivato solo con una giusta causa.
La Cassazione ha in gran parte accolto le ragioni della spa, precisando innanzitutto, dopo avere ricostruito la più recente giurisprudenza in materia, che la qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che come alter-ego dell’imprenditore ricopre un ruolo di vertice nell’organizzazione, ma anche a chi per qualificazione professionale o responsabilità nell’organizzazione aziendale vi si pone di fatto in una posizione di autonomia.
A essere esclusi dalla disciplina prevista per la categoria dei dirigenti sono «unicamente i cosiddetti pseudo-dirigenti, cioè quei lavoratori che seppure hanno di fatto il nome e il trattamento dei dirigenti, per non rivestire nell’organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo a quello dei cosiddetti dirigenti convenzionali (dirigenti apicali, medi o minori), non sono classificabili come tali dalla contrattazione collettiva».
Inoltre, la Cassazione si sofferma sulla necessità di una distinzione, quanto alle ragioni dell’interruzione del rapporto di lavoro, tra la categoria della giustificatezza, che alcuni contratti collettivi hanno introdotto per i dirigenti, e quella più ordinaria di giustificato motivo. Si tratta di un’asimmetria che la corte prova a motivare sottolineando il rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in rapporto alle mansioni assegnategli per la realizzazione degli obiettivi aziendali. Per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili in via preventiva oppure una deviazione dalle direttive assegnate dal datore di lavoro o un comportamento extralavorativo che incide sull’immagine aziendale possono costituire una rottura del rapporto di fiducia e condurre al licenziamento.
Questo quanto al piano soggettivo, ma possono verificarsi anche ragioni oggettive per l’interruzione del rapporto di lavoro, quando, per esempio, la concreta posizione assegnata al dirigente nell’organizzazione aziendale non è più pienamente adeguata allo sviluppo delle strategie d’impresa del datore di lavoro. Una situazione che può condurre all’«espulsione» del dirigente nel quadro di scelte orientate al miglior posizionamento dell’impresa sul mercato».
La distinzione
– Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 25145 del 2010
La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio ad altro giudice, che si atterrà al seguente principio di diritto:
«La disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi nn. 604 del 1962 e 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi dell’articolo 10 della prima delle leggi citate, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente».
La lettera spedita in ritardo fa cadere il licenziamento
La comunicazione al sindacato inviata con qualche giorno di ritardo rispetto alla lettera spedita ai dipendenti da collocare in mobilità fa cadere l’intera procedura. Il requisito della contestualità delle operazioni, infatti, deve essere valutato in relazione alla finalità complessiva cui risponde questo requisito. Si tratta in sostanza di una sequenza cadenzata, anche dal punto di vista temporale, in modo predeterminato, nel senso di una necessaria contemporaneità la cui mancanza può essere giustificata, in via del tutto eccezionale, solo per ragioni di natura oggettiva.
Lo ha chiarito la sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza 24341/2010 che ha accolto il ricorso di alcune operaie di un’impresa tessile.
Le donne, licenziate per cessazione definitiva dell’attività per la quale erano state assunte, si sono rivolte al giudice del lavoro per sentir dichiarare l’illegittimità del recesso per mancanza di contestualità della comunicazione finale del procedimento alle interessate e agli altri destinatari istituzionali. Il tribunale e la corte d’appello hanno respinto la domanda con la motivazione che, nel caso in esame, il requisito si doveva considerare rispettato essendo state le comunicazioni ricevute da tutti i soggetti interessati al procedimento in date molto ravvicinate tra loro.
Nel merito, poi, il collegio ha confermato la scelta aziendale di limitare il licenziamento alle sole operaie che avevano acquisito esperienza e manualità in un settore particolare dismesso completamente dall’impresa.
Contro questa decisione le operaie hanno presentato ricorso alla Suprema corte facendo rilevare il fatto che il principio di contestualità della comunicazione imposto dalla legge non consentiva intervalli temporali in assenza di una valida giustificazione del datore di lavoro.
La Cassazione ha accolto la domanda stabilendo che, in ordine al requisito della contestualità tra l’atto di recesso indirizzato ai lavoratori e l’ulteriore comunicazione cui sono destinatari gli uffici del lavoro e le associazioni di categoria, nessuna comunicazione dei motivi del licenziamento viene inviata al singolo lavoratore essendo sufficiente che il recesso avvenga per atto scritto. Ne consegue che solo attraverso le comunicazioni «istituzionali» i dipendenti interessati possono conoscere in via indiretta le ragioni della loro collocazione in mobilità. Il requisito della contestualità della comunicazione, pertanto, svolge la funzione di rendere visibile, e quindi controllabile dai sindacati, la corretta applicazione delle procedura con riferimento ai criteri di scelta seguiti ai fini del collocamento in mobilità del personale.
Ne deriva, ulteriormente, precisa la Cassazione, che il presupposto della contestualità «non può che essere valutato in relazione alla finalità complessiva cui risponde tale requisito legale nell’ambito della procedura le cui sequenze risultano cadenzate, anche dal punto di vista temporale, in modo rigido».
Ciò che rileva, infatti, non è tanto la data di predisposizione degli atti, ma il momento della loro effettiva conoscenza, dovendosi considerare non contestuale una comunicazione alle autorità pubbliche che segua, con un intervallo di tempo, quella del recesso indirizzata al dipendente.
Per evitare però, rigidi e inutili formalismi, conclude la Corte, è concessa all’imprenditore la possibilità di dimostrare le ragioni obiettive che hanno determinato il difetto della necessaria tempestività delle comunicazioni in modo da realizzare un equilibrato contemperamento degli interessi ed evitando di imputargli una disfunzione incolpevole.
Ilsole24ore.com
14 dicembre 2010