Roberto Speranza non si rassegna. «I numeri della Nadef parlano chiaro, ma io spero ancora che le risorse per la sanità verranno inserite in legge di bilancio», dice l’ex ministro della Salute. L’alternativa è «dire progressivamente addio all’assistenza sanitaria universale, prevista dalla nostra Costituzione – aggiunge il deputato Pd – e andare verso un modello in cui ti curi solo se hai la carta di credito».
Dalla maggioranza assicurano che i finanziamenti aumenteranno. Avete letto male?
«C’è poco da discutere, nella Nadef viene prospettata una riduzione del rapporto tra spesa sanitaria e Pil, che tenderà verso il 6%, mentre noi eravamo riusciti a portarla al 7%».
C’è, però, chi esprime dubbi sull’attendibilità di questo parametro…
«E allora basiamoci sulla spesa sanitaria pro capite, calcolata dall’Ocse: negli anni in cui ero al ministero è passata da 2629 dollari a persona a 3255, una crescita mai registrata prima. Ed è molto rilevante che questi investimenti li abbiamo fatti con un basso livello di inflazione, mentre oggi è molto alto. Quindi, anche mantenere invariati i finanziamenti significa fare un taglio considerevole al fondo sanitario».
Quando eravamo in piena pandemia, era più facile ottenere le risorse, no?
«Senza dubbio, l’emergenza Covid aveva fatto cambiare le gerarchie, la sanità era diventata una priorità e, in quel clima particolare, abbiamo portato a casa i risultati. Questo non può significare che ora si cancelli la lezione del Covid e che la sanità torni a essere una cenerentola. Questa manovra è il momento della verità».
Il governo ha ottenuto il via libera allo scostamento di bilancio: quasi 16 miliardi di deficit in più, ma l’unico accenno alla sanità riguarda il rinnovo dei contratti pubblici.
«Noi abbiamo votato contro lo scostamento proprio per questo motivo, non ci sono garanzie sulla volontà di mettere risorse sulla sanità. In gioco c’è la tenuta del servizio sanitario nazionale, mi pare che il ministro Schillaci ne sia consapevole. Lui ha chiesto 4 miliardi, che sono davvero il minimo indispensabile. Io dico che, nel caso, devono essere al netto dei rinnovi contrattuali, altrimenti non ci siamo. Faccio il tifo perché i soldi arrivino».
A sentire il ministro dell’Economia Giorgetti, non c’è da essere ottimisti, sbaglio?
«È una scelta politica dove mettere i soldi. Non basta dire che non ci sono risorse. A Giorgetti e al governo dico che, se vogliono trovarne di aggiuntive, serve il coraggio di riprendere una vera lotta all’evasione fiscale, invece di parlare di “pizzo di Stato”».
Ma è giusto usare i soldi per sfoltire le liste di attesa, spostando verso la sanità privata, come propone Calenda?
«A mio parere, tutte le risorse che si trovano devono essere destinate al fondo sanitario, per rafforzare la sanità pubblica. Non dobbiamo favorire un modello mutualistico, in cui ti curi solo se hai i soldi per pagarti l’assicurazione».
Ma come opposizioni riuscirete a fare una proposta unitaria anche sulla sanità?
«I presupposti ci sono, secondo me possiamo farlo su due punti molto semplici. Prevedere un meccanismo automatico di rifinanziamento, per tenere sempre la spesa sanitaria sopra al 7% del Pil: c’è già una mia proposta di legge depositata. E poi abbattere il tetto di spesa per il personale sanitario, che impedisce di costruire un sistema più forte: dobbiamo superare questo vincolo, per favorire investimenti sulle assunzioni e sugli stipendi di medici, infermieri e altri professionisti del settore».