Continuano a salire del 13,6% i contagi Covid con l’incidenza dei casi settimanali ogni 100mila abitanti che da 66 sale a 75, mentre l’Rt l’indice di contagio sale appena da 0,90 a 0,96, mantenendosi comunque al di sotto della soglia epidemica di uno. Salgono un po’ anche le ospedalizzazioni con il tasso di occupazione dei posti letto nei reparti di medicina che dal 4,4 passa al 5%, mentre quello delle terapie intensive dallo 0,9 sale all1,1%. La fascia di età dove si registra la più alta incidenza di contagi è quella compresa tra 80 e 89 anni, i grandi anziani che in via prioritaria dovrebbero essere vaccinati in questa prima fase della campagna autunnale. La percentuale di reinfezioni è stabile al 43%.
«Allo stato attuale non c’è nessun elemento che ci faccia dire che nelle scuole c’è un allarme Covid, se ci dovesse essere, e io non credo, con il tavolo interministeriale Salute e Istruzione, che ha lavorato, saremo pronti ad emettere la circolare». Lo ha detto il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Francesco Vaia, a margine della presentazione a Roma della campagna «Frecciarossa 2023: la prevenzione viaggia in treno», promossa da Fondazione IncontraDonna e da Ferrovie dello Stato Italiane con il patrocinio del ministero della Salute.
Sui positivi al Covid asintomatici c’è una circolare di agosto – ricorda Vaia “che dice con chiarezza che le persone che stanno male devono stare a casa e le persone che non stanno male, così come per ogni altra malattia respiratoria, non devono stare a casa. C’è un motivo anche medico legale – ha aggiunto – che non è di mia competenza ma di altri ministeri e loro vedranno le certificazioni. Ci deve orientare una cosa semplice: le persone che hanno una malattia respiratoria devono stare a casa. Poi chi sta a contatto con i fragili deve usare la mascherina, e quindi il buon senso. Ma siamo in una fase in cui non c’è bisogno di misure straordinarie”, ha ribadito.
Intanto si scopre che il livello di protezione che ciascuno avrà nei prossimi mesi nei confronti di Covid dipenderà non solo dalla scelta di vaccinarsi, ma anche dall’aver contratto o meno l’infezione nel passato e dalla variante che lo ha infettato. La capacità che il sistema immunitario ha di riconoscere il virus SarsCoV2 e contrastarlo è, infatti, influenzata dalla variante che ha incontrato in precedenza. Per cui chi si è infetto con Kraken, la capostipide di Elis e delle altre varianti circolanti in Italia, avrà meno possibilità di riprendere il Covid. E’ quanto ha scoperto uno studio coordinato dalla University of Cambridge, nel Regno Unito, pubblicato sulla rivista Science.
Il sistema immunitario difende dagli aggressori esterni grazie alla sua capacità di imprimersi nella memoria un identikit del nemico al primo incontro. Questo `schizzo´ delle caratteristiche salienti del patogeno gli permette di riconoscerlo in caso di incontri futuri. Nello studio, i ricercatori hanno cercato di comprendere come la straordinaria capacità di mutare di SarsCoV2 influenzi questa abilità del sistema immunitario umano di riconoscere il virus.
Studiando 207 campioni di siero di persone che si erano infettate in diverse fasi della pandemia, i ricercatori hanno scoperto profonde differenze. «Le risposte immunitarie sembrano colpire diverse regioni specifiche del virus, a seconda di quale variante il loro corpo ha incontrato per prima», spiega in una nota il primo firmatario dello studio Samuel Wilks. «I nostri risultati implicano che se il virus muta in una specifica regione, il sistema immunitario di alcune persone non riconoscerà il virus e quindi queste potrebbero ammalarsi, mentre altri potrebbero ancora avere una buona protezione».
Per i ricercatori, lo studio aggiunge un importante tassello alla comprensione di come si forma l’immunità a Covid e potrebbe aiutare a selezionare quelle caratteristiche che consentano di sviluppare vaccini anti-Covid più efficaci. (
La pandemia, come noto, ha avuto un profondo impatto sulla salute mentale di ampie fasce della popolazione, ma questo disagio psicologico diffuso sta provocando anche disturbi della vista. In uno studio di prossima pubblicazione, gli esperti dell’ospedale San Giuseppe – MultiMedica di Milano richiamano l’attenzione sul fenomeno, evidenziando come i pazienti con `perdita visiva funzionale´ o `cecità funzionale´, deficit più o meno grave della vista caratterizzato dall’assenza di alterazioni organiche rilevate dall’esame oculistico – siano più che raddoppiati nel post pandemia.
Lo studio ha preso in esame e messo a confronto i pazienti transitati dagli ambulatori di oftalmologia dell’ospedale San Giuseppe in un periodo antecedente la pandemia da Covid (da gennaio a giugno 2019) con quelli seguiti in un intervallo di tempo di analoga durata ma nel post pandemia (da gennaio a giugno 2023). Su un totale di circa 3.600 persone visitate in entrambi i periodi, i casi di perdita visiva funzionale sono stati 144 nel pre-pandemia contro i 326 del post Covid, con un raddoppio dell’incidenza passata dal 4 al 9%. Sia nel primo che nel secondo periodo, oltre l’80% delle diagnosi riguardava minori.
«Se escludiamo quei soggetti che fingono intenzionalmente il sintomo, come i bambini che, per emulare il fratello o il compagno di classe, vorrebbero mettere gli occhiali anche se non ne hanno bisogno, e che il medico ‘smaschera’ facilmente, resta una fetta consistente di pazienti affetti da un disturbo di conversione», spiega Andrea Lembo, medico oftalmologo dell’ospedale San Giuseppe e autore dell’analisi. «Si tratta di una forma di somatizzazione in cui un disagio psicologico viene involontariamente proiettato dal soggetto in un sintomo fisico, un po’ come quei bambini a cui viene il mal di pancia perché sono in ansia per la verifica a scuola. Nel nostro caso – dettaglia – il disagio si manifesta sotto forma di difficoltà visiva, ad esempio nel vedere la lavagna, appannamento, bruciore oculare, cefalea, riduzione del campo visivo e altri disturbi legati alla vista. Riteniamo che l’aumento di questi casi, riscontrato negli ultimi mesi – afferma – possa essere in qualche modo correlato alla pandemia da Covid per i profondi cambiamenti psicosociali che ha portato con sé».