L’indagine dettagliata dalla monumentale relazione che la sezione Autonomie della Corte dei conti ha appena dedicato ai bilanci regionali (delibera 13/2023; relatori Stefania Fusaro e Paolo Peluffo), occupati per quasi l’80% dalla sanità, offre una chiave di lettura originale perché si impegna nel grande assente delle politiche pubbliche italiane: l’analisi d’impatto. E mostra, in sintesi, che in sanità come nella vita i soldi sono importanti ma da soli non fanno la felicità. Perché nel panorama caleidoscopico delle sanità regionali la correlazione fra l’intensità della spesa e i livelli di servizio non è certo ferrea.
Le prospettive finanziarie del servizio sanitario promettono di occupare un posto centrale nei dibattiti intorno alla manovra ultraleggera prospettata dalla Nadef che il Governo ha approvato mercoledì. Le tabelle «a legislazione vigente» prevedono per il 2024 un calo di 3,3 miliardi nei fondi, che passerebbero dai 136 miliardi di quest’anno a 132,7 (per tacere dell’inflazione). E la legge di bilancio non sembra in grado di fare molto, visto che per provare a non far crescere il debito la manovra dovrebbe fermarsi sotto i 25 miliardi, quasi tutti già impegnati.
Qualcosa potrebbe cambiare per lo slittamento degli oltre due miliardi collegati al rinnovo del contratto dei medici, che dovrà superare l’esame di Corte dei conti e Ragioneria prima di entrare in vigore, ma l’effetto contabile non cambia la sostanza: la sanità arranca, e i margini per un cambio di passo sono stretti.
L’attenzione tutta concentrata sui fondi rischia però di trascurare un pezzo importante del problema, come mostra il lavoro della Corte.
Nelle 436 pagine del rapporto, accanto alla lunga teoria di tabelle con i dati finanziari, trova spazio il confronto fra la spesa pro capite di ogni Regione e i risultati ottenuti dalla “sua” sanità nelle tre aree indagate dai «Livelli essenziali di assistenza» (Lea), che traducono in un punteggio sintetico (da 0 a 100, con sufficienza a 60) la qualità dei servizi raggiunta da ospedali, assistenza distrettuale (cioè la mitica sanità territoriale, dai medici di base alle cure domiciliari) e attività di prevenzione. Con risultati interessanti.
Primo: secondo i Livelli essenziali relativi al 2021, appena calcolati dal ministero della Sanità, sette Regioni e Province autonome su 21 hanno servizi insufficienti in uno o più settori. Il quadro più fosco arriva dagli estremi del Paese, la Valle d’Aosta e la Calabria, dove tutti e tre gli ambiti indagati si fermano largamente sotto la sufficienza, in Sardegna solo la prevenzione arranca poco sopra quota 60 punti; prevenzione che soffre a Bolzano, mentre in Molise gli ospedali sono in difficoltà e in Campania zoppica la medicina territoriale.
Ma il punto, si diceva, è la correlazione con i fondi, che non sono sinonimo di qualità. Negli ospedali, per esempio, la spesa più alta si incontra in Molise, che nonostante i suoi 1.436 euro per cittadino, ha anche il punteggio Lea peggiore (48,55), mentre la Provincia di Trento ottiene i risultati più brillanti (96,52 punti) con 1.191 euro, seguita da Emilia-Romagna e Toscana, sul podio della qualità rispettivamente con 1.067 e 1.051 euro pro capite. L’Emilia-Romagna primeggia anche nell’area distrettuale, pur spendendo 1.292 euro ad abitante cioè meno dei 1.307 della Sardegna, che invece occupa il penultimo posto. Umbria e Provincia di Trento dispiegano le strategie più efficaci in termini di prevenzione, ma la prima lo fa con 92 euro pro capite contro i 125 euro della seconda, che sono comunque meno dei 140 euro spesi dalla Puglia per ottenere prestazioni più spente, in una classifica chiusa ancora una volta dalla Valle d’Aosta (statisticamente penalizzata anche dalle sue dimensioni ridotte). «I Livelli essenziali sono il penultimo miglio – ha osservato Sabino Cassese mercoledì parlando al Senato dei Livelli essenziali delle prestazioni per l’Autonomia differenziata, – ma l’ultimo dipende dalla qualità dell’amministrazione che gestisce». Verità indiscutibile, come confermano i numeri della Corte dei conti; e in effetti pochissimo discussa.