Il Sole 24 Ore. Non solo il lavoro: c’è anche la difesa della sanità pubblica. Passo dopo passo, pur tra le polemiche e i distinguo dei vari partiti, il Pd di Elly Schlein continua a scommettere sulla costruzione della futura coalizione di centrosinistra a partire dai temi. Prima della pausa estiva la presentazione di una proposta unitaria delle opposizioni (dal M5s ad Azione di Carlo Calenda fino ai radicali di Più Europa, tutte tranne Italia Viva di Matteo Renzi) sul salario minimo a 9 ore lorde l’ora è stata un indubbio successo della segretaria dem e del suo staff, responsabile economico Antonio Misiani in testa. Tanto che la premier Giorgia Meloni si è vista costretta a inserire il tema nell’agenda di governo.
Tutto bene, dunque? Non proprio, visto che Calenda risponde picche alla chiamata alla mobilitazione di piazza lanciata da Schlein domenica a Ravenna, a conclusione della Festa nazionale dell’Unità («noi lavoriamo in Parlamento, andare in piazza per qualunque cosa non lo condividiamo come approccio né come ideologia»). E visto che il presidente del M5s Giuseppe Conte, ospite nel week end proprio a Ravenna, ribadisce il concetto del no all’alleanza strutturale («un accordo strutturale non ha senso, dobbiamo vedere di volta in volta le alleanze…»). Il fatto è che l’orizzonte elettorale è quello delle Europee del prossimo anno, dove si correrà con il sistema proporzionale, e ogni partito punta ad ottenere il massimo anche a scapito dei possibili futuri alleati. E il test sarà vitale soprattutto per Calenda, che dopo il divorzio con Renzi deve mettere tutti i suoi sforzi nel superamento della soglia del 4%: quale campo da arare è migliore di quello dei riformisti del Pd delusi dalla svolta a sinistra impressa da Schlein? L’occasione per l’appello di Calenda è non a caso la presentazione alla stampa dei nuovi “acquisti”: ben 31 tra ex dirigenti, consiglieri ed esponenti liguri che hanno abbandonato il Pd per Azione. «Se domani – sono le parole di Calenda – i riformisti del Pd, invece di stare dentro aspettando il prossimo cambiamento del segretario, trovassero il coraggio che hanno avuto loro (i fuoriusciti, ndr) di costruire un partito veramente riformista, repubblicano e liberaldemocratico, saremo un pezzo avanti».
Paradossalmente l’attrattività di Azione in questi giorni è anche frutto dell’operazione politica riuscita a Schlein a partire dalla proposta sul salario minimo, ossia dividere Calenda da Renzi per inglobare solo il primo nel futuro centrosinistra. Se la renziana Italia Viva insegue al momento un progetto centrista e autonomo non meglio definito, Azione sembra apprestarsi a fare la gamba centrista e “riformista” della futura coalizione che sfiderà Meloni alle prossime politiche. Da qui, anche, le autorevoli uscite da Italia Viva nella direzione di Azione: dopo l’annuncio di Elena Bonetti arriverà a giorni quello di un altro big renziano, Ettore Rosato. In uno schema ritornato bipolare, insomma, un centro indipendente non promette un grande futuro.
Il Sole 24 Ore