Claudio Testuzza, Il Sole 24 Ore sanità. Mentre alcuni, come il presidente della regione Veneto Zaia e una pattuglia di deputati, sempre pronti a intervenire sulle leggi in discussione, propongono di innalzare l’età per il pensionamento dei medici, la schiera dei camici bianchi che vanno in pensione, nel nostro Paese, è sempre più folta. L’ascesa graduale dei medici che smettono di frequentare le corsie degli ospedali, oppure gli studi e gli ambulatori non è una sorpresa. Da tempo l’arrivo della cosiddetta “gobba previdenziale”, generata dall’uscita dal mercato occupazionale della nutrita coorte dei nati negli anni ’50, era stata già ampiamente prevista, ben prima dell’avvento del Covid-19, che, però potrebbe averla un po’ accelera.
I dati rilevati dall’Enpam, l’ente di previdenza dei medici, confermano che dal 2014 al 2022, i trattamenti ordinari (quelli, cioè, corrisposti in virtù del raggiungimento dei requisiti anagrafici, o contributivi) hanno registrato un’impennata di ben il 257 per cento. Soltanto l’anno scorso, la spesa per prestazioni previdenziali è stata di 2 miliardi 670 milioni e 664.965 euro il + 14,44 %, al confronto con le uscite del 2021. Per quanto attiene le singole gestioni dell’ Enpam, tra quanti esercitano la medicina generale, i pensionati sono cresciuti in un anno del 12%,con un incremento del 503% a partire dal 2014. Per quel che concerne, invece, la libera professione (Quota B) la spesa dell’ Enpam per i trattamenti è stata superiore del 21,33 %, rispetto al 2021 (pari cioè a oltre 304,4 milioni). E se nell’ultimo anno il numero di chi è andato in quiescenza ha fatto un salto in avanti del 5,43%, l’incremento però è del 265% dal 2014.
Di contro, per i sanitari, gli attuali limiti si sono mantenuti elevati rispetto alla norma generale che prevede il pensionamento di vecchiaia a 67 anni d’età.
Gli Accordi Collettivi, dei medici di medicina generale prevedono, già, la possibilità di restare in servizio fino a 70 anni di età. L’unica piccola deroga, in casi assolutamente eccezionali, è rappresentata dal medico che, già in possesso del diritto a pensione, rimane a fare il sostituto di se stesso, in zone particolarmente disagiate e per un breve lasso di tempo, in attesa che la Asl di riferimento sia in condizione di nominare un sostituto. Anche per gli specialisti ambulatoriali, era stata ventilata in passato la possibilità di un trattenimento volontario in servizio fino a 72 anni, qualora l’interessato avesse aderito alla APP, il particolare meccanismo di condivisione del proprio impegno orario con un medico neo assunto, in cambio di un parziale anticipo della pensione.
Cancelli aperti per tutti i medici dipendenti che desiderano restare in servizio anche dopo il raggiungimento dei 65 anni di età: era questo il loro limite anche dopo la riforma Fornero. Già il decreto legislativo 502 del 1992 aveva previsto di poter presentare un’istanza che consentiva di superare il limite dei 65 anni, ma soltanto al fine di raggiungere i 40 anni di servizio effettivo e senza mai superare i 70 anni di età. All’inizio del 2020 di fatto è stato, poi, consentito, con una modifica inserita in un decreto Milleproroghe, di restare al lavoro anche dopo il raggiungimento dei 40 anni di servizio.
Tuttavia, entro il 2023 potrebbero mancare circa 10mila medici specialisti nelle corsie d’ospedale. Ma in uno scenario più pessimista la carenza potrebbe arrivare a circa 24mila unità, una prospettiva catastrofica non lontana dalla realtà.