di Anna Fregonara, Il Corriere della Sera. Le emissioni ascrivibili al settore biomedico sono fra l’1 e il 10% di quelle nazionali totali, a seconda dello Stato considerato. Ma molto si può fare per ridurle
Ora per la prima volta un gruppo di ricercatori, si legge su European Journal of Internal Medicine, ha calcolato l’impatto ambientale in termini di CO2 evitabile delle variazioni cliniche ingiustificate, ossia l’uso inappropriato o di scarso valore per i pazienti, di risonanza magnetica (RMN) e tomografia computerizzata (Tc).
Dalla Terra alla Luna
«Abbiamo valutato il diverso tasso di utilizzo di questi esami radiografici ogni mille abitanti tra sette Paesi del G20 (Australia, Canada, Francia, Germania, Italia, Corea del Sud e Stati Uniti) con simili caratteristiche demografiche, economiche, di qualità dei sistemi sanitari, di aspettativa di vita e di distribuzioni di malattie» spiega Ludovico Furlan, primo autore dell’indagine, ricercatore dell’Università di Milano e medico internista presso il Policlinico di Milano.
«Solo per il consumo energetico, e parliamo di stime al ribasso, se l’Italia eseguisse lo stesso numero di Rmn e Tc ogni mille abitanti dell’Australia, il paese più oculato tra quelli scelti, risparmierebbe ogni anno l’emissione di 40mila tonnellate di CO2. Questo impatto ambientale può essere assimilato all’utilizzo di un’auto per 15 milioni di km, che equivalgono a 20 viaggi andata e ritorno dalla Terra alla Luna.
Stati Uniti e Germania
Per alcuni Stati con maggiore tasso di utilizzo di indagini di imaging e che ricorrono a un massiccio utilizzo di combustibili fossili le cose vanno peggio: tra questi ci sono gli Stati Uniti, le cui emissioni per esami Tc e Rmn potenzialmente evitabili equivalgono a guidare un’auto per circa 700 milioni di km, e la Germania. Se quest’ultima si comportasse come l’Australia, ogni anno risparmierebbe l’emissione di 35 mila tonnellate di CO2. Per compensare queste emissioni, ci vorrebbe una volta e mezza la più grande foresta tedesca. Secondo le analisi del Sistema sanitario nazionale britannico, che punta a diventare carbon free entro il 2040, il 70 per cento circa delle emissioni proviene dalla catena di approvvigionamento e dall’energia necessaria per produrre, spedire e smaltire i prodotti farmaceutici e le attrezzature mediche.
Pratiche cliniche a pesante impatto ambientale
Ma non è tutto. Il 20 per cento dipende, invece, dalla cura dei pazienti, dove l’inappropriatezza è solo uno dei fattori contribuenti. Stanno pian piano emergendo esempi di pratiche cliniche a pesante impatto ambientale, come l’utilizzo dei gas anestetici o dei propellenti per gli inalatori per asma e bronchiti, potenzialmente sostituibili con altre a minor impatto, a parità di efficacia e sicurezza per il paziente. Inoltre, alcune società di anestesia, come la World Federation of Societies of Anaesthesiologists, hanno pubblicato linee guida con esempi pratici per ridurre lo spreco in sala operatoria, favorendo il ricorso ad anestesie a minor impatto ambientale con gas anestetici clinicamente equivalenti e indicando l’uso di dispositivi riutilizzabili».
Prevenzione
Si potrebbe pensare che l’ecologia sia l’ultima cosa che il sistema sanitario potrebbe fare in questo momento, dopo anni di sottofinanziamento, con liste d’attesa alle stelle, carenza di medici e infermieri. «Ci sono però azioni che la sanità può iniziare a compiere per ridurre le proprie emissioni senza compromettere la qualità dello terapie o la sicurezza dei pazienti: le liste d’attesa crescono perché aumentano le necessità di cura dei cittadini e dei malati cronici e per prescrizioni inappropriate», dice Nicola Montano, coautore dello studio, professore di Medicina interna all’università Statale di Milano e direttore dell’omonima divisione all’Irccs ospedale Policlinico del capoluogo lombardo.
«Ogni volta che chiediamo un esame non necessario è un rischio per il paziente (pensiamo all’esposizione ai raggi di un esame radiologico) e per l’ambiente. L’inappropriatezza clinica aumenta per vari motivi: l’assenza di un filtro efficace di medicina di base; l’eccesso di medicina difensiva che porta a prescrivere un test in più anziché uno in meno, pressioni e interessi di tipo economico. Se un test o un esame non risponde a una domanda clinica precisa, probabilmente non andrebbe prescritto, soprattutto in assenza di evidenze sul suo reale beneficio in quel contesto clinico. Su questo si basa l’approccio Choosing Wisely un movimento culturale medico che sta prendendo sempre più piede in tutto il mondo. La prevenzione primaria non si fa sottoponendosi a un esame in più tanto per farlo, ma seguendo un corretto stile di vita, partecipando ai programmi di screening che comprendono esami diagnostici specifici, per un certo tipo di popolazione a rischio in un certo periodo della vita».
Riconnettere salute e progettazione
La sostenibilità non va intesa solo in termini energetico-ambientali. «La nuova disciplina della psicologia della sostenibilità e dello sviluppo sostenibile ha come obiettivo principale quello di promuovere il benessere attraverso la creazione di spazi fisici attenti all’uomo nella sua interezza, quindi anche all’aspetto psicologico», dice Giovanni Santi, professore di Architettura tecnica presso il dipartimento di Ingegneria dell’energia dei sistemi del territorio e delle costruzioni dell’Università di Pisa. «Sviluppare consapevolezza di questa necessità di riconnessione tra salute, psicologia, pianificazione urbana e progettazione architettonica contribuisce al miglioramento della qualità della vita e alla cosiddetta prevenzione primaria. Trasformare l’ambiente per rispettare al meglio i bisogni e le funzioni dell’uomo significa rispondere al nuovo paradigma della sostenibilità anche in termini di salute e benessere e non solo in una chiave meramente economica».
Gli ospedali sono energivori
«Computer, macchinari e illuminazione funzionano 24 ore su 24, 7 giorni su 7», dice Giacomo Salvadori, professore di Fisica tecnica ambientale all’università di Pisa e nel comitato di vigilanza per gli eco interventi in corso in 13 strutture ospedaliere della Azienda Usl Toscana Nord Ovest. «Ci sono vincoli che limitano gli eco interventi. Le sale operatorie, ad esempio, necessitano di ricambi d’aria e di controllo di temperatura e umidità relativa; in certi laboratori l’illuminazione deve avere caratteristiche specifiche; le macchine per Rnm vanno raffreddate. La gestione energetica del patrimonio edilizio è responsabile, a livello mondiale, di un terzo di tutto il consumo energetico. In Italia gli ospedali sono spesso vecchi e pieni di perdite: i possibili principali interventi, considerando il costo-beneficio, sono illuminazione a basso consumo, isolamento termico, pompe di calore, caldaie a condensazione, sistemi solari termici e fotovoltaici. Infine sistemi di telegestione per intervenire in tempo reale se ci sono anomalie energivore».