di Eugenia Tognotti. la Stampa. Annunciato da qualche settimana dal ministro della Salute, che ha definito ormai «anacronistica» la misura, arriva con il decreto Omnibus lo stop all’isolamento per i positivi al nostro nemico virus. Decade così in Italia – a tre mesi dalla dichiarazione da parte dell’Oms della fine dell’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale – l’ultima restrizione ancora in piedi legata al Covid-19. Ed escono di scena – nel tripudio di quanti per diverse ragioni invocavano la liberazione da lacci e lacciuoli – le antiche parole isolamento e quarantena che hanno tenuto banco nel lungo triennio pandemico.
E che tanto clamore avevano suscitato, per ciò che implicavano, al loro primo apparire, in risposta all’allora sconosciuto e pauroso virus che arrivava da lontano, incurante di confini e barriere doganali. Anche se vecchie di secoli, investite, di tempo in tempo, da furiose pandemie che viaggiavano sulle navi da carico e sfruttavano la promiscuità di guerre e microguerre, quelle misure, infatti, erano nuove e nuovissime per buona parte della popolazione. Più volte adeguate e adattate nel numero dei giorni, con l’evolversi delle conoscenze sul virus. E, ancora, su come si diffonde e per quanto tempo una persona infetta può essere contagiosa, sono in campo nella quarta estate consecutiva. Un unicum nella storia delle epidemie/pandemie.
Peraltro, l’addio all’isolamento obbligatorio, decretato oggi, e il cambio di passo nella gestione, arrivano dopo gli ultimi dati disponibili e per niente confortanti sull’andamento del Covid-19: l’incidenza è in lieve risalita con 10 casi per 100 mila abitanti e l’indice Rt a 1,07. Non si tratta di qualcosa che possiamo definire «ondata». Non siamo di fronte a un aumento del numero dei casi come negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove si dà la colpa, oltre che al maltempo e all’immunità in calo, a «Barbenheimer», la doppia uscita dei blockbuster «Barbie» e «Oppenheimer» che hanno riempito i cinema e le occasioni di contatto al chiuso.
In generale, però, se la situazione in Europa è stata relativamente sotto controllo nell’ultimo mese (con poco più di 60 mila nuovi casi e poco più di 700 nuovi decessi), Covid-19 continua a rappresentare una minaccia per la salute pubblica che autorizza qualche preoccupazione, considerate anche le nuove varianti rilevate dall’intelligence epidemica. Sotto monitoraggio (acronimo Vum) l’emergente variante EG.5, segnalata in 45 Paesi: ha una prevalenza globale dell’11,6%, come evidenzia l’ultimo bollettino dell’Oms sull’andamento del Covid-19. È presente anche nel nostro Paese questa nuova variante, stando all’ultimo rapporto settimanale diffuso dall’Iss. Il pool di esperti internazionali che monitora senza sosta le varianti di Sars-Cov-2 l’ha chiamata Eris, come il pianeta nano scoperto nel 2003, uno dei più grandi conosciuti nel nostro sistema solare, battezzato con questo nome in onore della dea greca della contesa e della discordia, avendo la sua scoperta dato il via all’infinita discussione tra astronomi sulla definizione di pianeta, con conseguente declassamento – poi rivisto – di Plutone.
Mentre i «tracciatori» di varianti tengono sotto sorveglianza EG.5.1, alias Eris – che presenta un vantaggio di crescita rispetto ad altri lignaggi circolanti – la realtà è questa: il virus non è affatto scomparso e propone continuamente nuove sfide. Da tenere ben presenti nella nuova fase aperta dal venir meno della norma sull’isolamento dei positivi al Covid-19 e dalla cancellazione delle regole che i contagiati e i loro contatti diretti dovevano seguire, insieme al regime di autosorveglianza. Il nuovo approccio prevede una campagna vaccinale diversa da quella precedente, affidata a farmacie e medici di famiglia invece che ai grandi hub, e nuovi farmaci adattati alle ultime varianti del virus. Tutto bene. Ma non sarà un decreto a stabilire che Covid-19 e influenza pari sono. Almeno non al momento.