L’inflazione mette in cura dimagrante non solo il fondo sanitario nazionale ma anche Case e ospedali di comunità, maxi ambulatori aperti 7 giorni su 7 e h24 i primi, luoghi di cura intermedi per chi va dimesso ma non può tornare a casa i secondi. Strutture sulle quali si punta per rinforzare la malandata trincea della sanità territoriale. Causa l’aumento dei costi per tirarle su, il piano di revisione del Pnrr presentato dal governo riduce però da 1.350 a 936 le Case e da 400 a 304 gli ospedali di comunità. Le strutture non più finanziate dal Pnrr, per l’impossibilità di realizzarle entro il termine perentorio del 31 dicembre 2026, non verranno in teoria depennate, bensì rifinanziate con i soldi del fondo di coesione, ma soprattutto con i 10 miliardi mai spesi per l’edilizia sanitaria. Parliamo di risorse stanziate dall’articolo 20 della finanziaria del lontano 1988. Soldi rimasti incagliati per quasi 40 anni nella rete di una burocrazia che ha imposto una mole insostenibile di passaggi amministrativi. Pertanto non si capisce come ora potranno invece essere investiti in un tempo relativamente breve. Così aumenta il rischio di desertificazione sanitaria in quelle aree interne o montuose scarsamente popolate, già di per sè poco servite e che ora lo saranno ancora di più se il bacino di utenza dei nuovi maxi ambulatori dovesse salire rispetto a quello già consistente per le aree extra urbane di 50 mila abitanti.
Per non perdere i 7 miliardi del Pnrr destinati alla sanità territoriale, i soldi non spesi per le nuove strutture verrebbero dirottati per l’acquisto di attrezzature e macchinari diagnostici indispensabili a renderle realmente operative. Quel che non si potrà fare, nonostante i tentativi ancora in corso del ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto, è utilizzare le risorse del Pnrr per pagare medici e infermieri che dovranno lavorarci. Riguardo ai primi, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, pensa di impiegare a tempo pieno i giovani medici di famiglia e a metà con il proprio studio quelli più anziani, mentre gli specialisti ambulatoriali delle Asl, che nel 42% dei casi lavorano meno di 10 ore a settimana, dovrebbero lavorarne 38. Ma siccome sono pagati a ore, non si capisce chi dovrebbe tirare fuori i soldi per retribuire quelle in più.
Posticipati infine di sei mesi i tempi di realizzazione dei progetti di telemedicina. La riforma della sanità territoriale può attendere