Dal 7 marzo scorso, quando una delegazione di assessori regionali alla Salute ha incontrato a Roma il ministro dell’Economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, e il titolare del dicastero della Salute, Orazio Schillaci, per poi squadernare il dramma che sta vivendo la sanità pubblica, non è cambiato praticamente nulla. O meglio qualcosa è cambiato per i Pronto soccorso. Ma la buona notizia non c’è.
“La situazione sta gradualmente peggiorando”, dice Fabio De Iaco, presidente della società di medicina di Emergenza-Urgenza. Con una aggravante. Il caldo estremo delle ultime settimane, soprattutto nelle regioni del Meridione, ha portato a una impennata ulteriore degli accessi: ogni giorno una media di 6mila in più. Numeri che sono il risultato della rilevazione effettuata dai Pronto Soccorso che fanno parte del nascente Osservatorio nazionale della società scientifica. Rilevazione che ha preso in esame le diagnosi in uscita. In questi ultimi tempi quelle classificate come colpo di calore rappresentano il 4% del totale degli accessi, con una netta differenza tra Nord e Centro Sud. Nel Settentrione siamo al 2%, nelle altre regioni al 5%. Ci sono poi tutte le patologie aggravate o acutizzate dalle temperature molto elevate. Costituiscono l’8% del totale degli accessi, anche in questo caso con un notevole divario tra Nord (6%) e Centro Sud (11%).
UN’EMERGENZA nell’emergenza. Perché le condizioni dei Pronto soccorso, da tempo gravemente sotto organico (mancano medici e infermieri) sono sempre più critiche. E non si ferma l’esodìo del personale sanitario, che si dimette per sfuggire a ritmi di lavoro ormai infernali. In Sicilia hanno destato grande clamore le dimissioni di Sergio Vaccaro, primario del Pronto soccorso dell’ospedale di Agrigento. Due settimane fa, il professore ha gettato la spugna non prima di aver inviato una durissima lettera ai vertici dell’azienda sanitaria. Il servizio prevede in pianta organica 22 medici effettivi, lui ne aveva a disposizione solo sei. E alla sottocommissione sui Ps siciliani dell’Assemblea regionale ha detto che non c’erano più le condizioni minime per lavorare. Una questione di dignità e sicurezza, a fronte di una gravissima carenza che lo aveva costretto a turni di 20 o anche 30 ore consecutive, con notevole rischio clinico per i pazienti. Un caso arrivato sul tavolo del ministro Schillaci, con una interrogazione della parlamentare siciliana Pd Giovanna Iacono. Il punto è che già da alcuni anni non siamo di fronte a una eccezione. Al contrario.
L’ULTIMA MAPPATURA della carenza di personale fatta da Simeu è impietosa e andrebbe già ritoccata per difetto. Non c’è una singola Regione che non sia in condizioni particolarmente difficili. Nei Pronto soccorso della Sicilia mancano 372 medici (il 60% di quelli previsti dalle piante organiche), nel Lazio 375, circa il 40%, così come in Emilia-Romagna. In Piemonte ce ne dovrebbero essere 297 in più, in Calabria 90, in Friuli-Venezia Giulia 62, in Campania 420, in Puglia 200, in Veneto 232. Poi c’è la questione dell’ondata di privatizzazioni del servizio, con l’appalto a cooperative esterne. Ondata che è arrivata in Piemonte – dove le cooperative sono presenti in 17 ospedali –, nel Lazio, in Friuli-Venezia Giulia. E poi ancora Liguria, Emilia-Romagna, Veneto, Marche, Lombardia, Regione quest ‘ultima dove mancano tra i 450 e i 550 medici.
In questo scenario ognuno si arrangia come può. Nelle Marche, la regione si è inventata il doppio binario per separare i codici bianchi e verdi da quelli più gravi, stanziando contemporaneamente 9 milioni di euro per abbattere le liste d’attesa. Una idea dell’assessore Filippo Saltamartini (Lega) per cercare di tamponare le falle, per ora sperimentata negli ospedali di Civitanova e Macerata e destinata a essere estesa a tutta la regione. Come funziona? In pratica due medici si occupano solo dei codici bianchi e verdi, mentre i pazienti più gravi seguono il normale iter con il triage. Questo grazie a retribuzioni aggiuntive di 100 euro lordi all’ora (800 per turno su un trattamento di 3mila euro) per i medici, di 50 euro per un infermiere (400 per un turno su un trattamento inferiore a 2mila euro). Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e il suo assessore alla Salute, Raffaele Donini, hanno invece scommesso tutto sui Cau, centri di assistenza per le urgenze, dove dovranno essere accolti i codici bianchi e verdi che costituiscono il 74% degli accessi. Nei Cau – l’obiettivo di Bonaccini e Donini è quello di averne almeno uno per provincia entro la fine dell ‘anno – saranno impiegate le ex guardie mediche e i centri saranno collocati nelle case di comunità, negli ospedali territoriali, vicino ai PS più grandi o anche negli studi associati di medicina generale. “L’alt ernativa può essere solo la privatizzazione, che noi non vogliamo”, dice Donini.
SUL DISASTRO SANITÀ, intanto, si è riunito per la prima volta, sette giorni fa, il tavolo tecnico promesso da Schillaci. Presenti 70 persone, tra presidenti delle società scientifiche, sindacati, dirigenti ministeriali. Mancava solo lui: il ministro. Al suo posto il capo di gabinetto, che ha illustrato l’obiettivo: scrivere un “libro bianco” sulla sanità, e in particolare sul decreto ministeriale 70 del 2015 (assetto ospedaliero) e il recente decreto 77 del 2022, che riforma la medicina territoriale, partendo dalle case e dagli ospedali di comunità. I tempi? Sulla carta sono brevissimi, tutto dovrà concludersi entro il 31 ottobre. “Ma se il libro bianco deve essere un tomo da biblioteca non ce ne facciamo nulla. Senza ulteriori finanziamenti possiamo fare qualsiasi legge: la situazione non cambia”, dice Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato Anaao.
Quanto all’indennità aggiuntiva per i medici (fino a 100 euro lordi) e per gli infermieri (fino a 50 euro, sempre lordi) del servizio di emergenza-urgenza, prevista con il decreto Bollette del 30 marzo scorso e anticipata al 1° giugno, il personale sanitario dovrà ancora aspettare. Le modalità di erogazione, come previsto dal decreto, sono infatti agganciate al contratto di lavoro. E i sindacati stanno negoziando adesso con Aran il triennio 2019-2021. Ci vorrà tempo.
Il Fatto quotidiano