Le voci che girano sostengono che il governo starebbe pensando di risolvere la vicenda del Tfs caricandosi direttamente il costo degli interessi e portando così a costo zero per il pensionato il prestito concesso dalle banche come anticipo del trattamento di fine servizio. Una soluzione tampone che risponderebbe solo ad uno dei rilievi d’incostituzionalità sollevati recentemente dalla Consulta.
La Corte Costituzionale infatti, dopo aver ricordato che il Tfs dei dipendenti pubblici è una retribuzione differita al pari del Tfr dei lavoratori privati (e quindi anche i primi hanno il diritto costituzionale di ottenere questa “giusta retribuzione”, con la dovuta tempestività), ha bocciato l’attuale sistema che rende possibile ottenere un anticipo della cifra maturata (fino a 45 mila euro) tramite un finanziamento bancario i cui oneri però restano in carico al lavoratore (si tratta di una spesa intorno ai 2000 euro per la cifra massima).
La tesi della Consulta è chiarissima:
“Le normative richiamate investono solo indirettamente la disciplina dei tempi di corresponsione delle spettanze di fine servizio.
Esse non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si limitano a riconoscere all’avente diritto la facoltà di evitare la percezione differita dell’indennità accedendo però al finanziamento oneroso delle stesse somme dovutegli a tale titolo.
Il legislatore non ha, infatti, espunto dal sistema il meccanismo dilatorio all’origine della riscontrata violazione, né si è fatto carico della spesa necessaria a ripristinare l’ordine costituzionale violato, ma ha riversato sullo stesso lavoratore il costo della fruizione tempestiva di un emolumento che, essendo rapportato alla retribuzione e alla durata del rapporto e quindi, attraverso questi due parametri, alla quantità e alla qualità del lavoro, è parte del compenso dovuto per il servizio prestato”.
La soluzione al vaglio del governo, illustrata nel dettaglio per PA Magazine nell’ottimo articolo di Francesco Bisozzi, risolve quindi un problema e uno solo di questa intricata e ingiusta vicenda e con tutta probabilità non riguarderà l’intera platea di pensionati e pensionandi pubblici, varrà infatti solo per chi ha raggiunto i 67 anni e forse neanche per tutti costoro ma solo per quelli con i redditi bassi. Difficile quindi commentare positivamente una scelta del genere, se non ricorrendo all’antica saggezza contadina per la quale piuttosto che niente è meglio piuttosto (piutost che nient, l’è mei piutost). E’ chiaro che pur se parziale è comunque un passo avanti da parte del governo, per chi potrà ricorrere all’anticipazione, infatti, conterà soprattutto il risultato: ottenere i soldi subito e non dopo due anni, senza tasse occulte imposte dall’inflazione e senza interessi da corrispondere alla banca erogatrice. Quindi evviva! E merito va dato alla lunga battaglia di Confsal-Unsa, senza la quale forse nemmeno questo sollievo per i dipendenti pubblici sarebbe arrivato.
È un’esclamazione, però, da pronunciare sottovoce, perché resta una sconfitta per tutti. Questa soluzione, adottata perché secondo il governo non c’è alcuna possibilità di trovare coperture adeguate per pagare subito tutti i tfs (si parla complessivamente di 14-15 miliardi), finirà comunque per aggiungere ulteriori oneri per le casse pubbliche e non vale molto far osservare che trattandosi di tfs si resta comunque al di fuori del perimetro del debito pubblico, perché al di là dei parametri di Eurostat la sostanza non cambia, lo Stato alla fine spenderà di più e lo farà perché dal 2011 ha sospeso in nome dell’emergenza dei conti pubblici i diritti costituzionali di una parte consistente dei lavoratori italiani e questa sospensione, ironia della sorte, alla fine peggiorerà i conti pubblici.
Non c’è, inoltre, da festeggiare perché la platea interessata, come si è già detto, è parziale. I prepensionati dovranno in ogni caso attendere il 67/mo anno d’età; prima di quel fatidico compleanno per loro non ci sarà alcuna anticipazione del tfs. E qui la discriminazione tra dipendenti pubblici e privati mantiene tutta la sua gravità ed ingiustizia. Ma quel che è peggio è che anche questa soluzione rimane nel perimetro delle scelte fatte in extremis, sotto la pressione dell’emergenza, dopo non uno, ma ben due pronunciamenti della Corte Costituzionale. Come accade quasi sempre, quando si tratta di pubblica amministrazione manca una visione strategica un’idea complessiva di che cosa significa e di che importanza abbia il lavoro pubblico. Si va avanti mettendo toppe agli sbreghi, e neanche a tutti, così il vestito della Pa assomiglia a quello di Arlecchino ed è sempre più sbrindellato. Ma non siamo a Carnevale e c’è poco da ridere.